Il re inglese degli elettrodomestici, con un patrimonio personale stimato di oltre 18 miliardi di euro, è tornato sul fallimento del suo progetto di realizzare vetture a zero emissioni. Sparando a zero sui costruttori che, a suo dire, le commercializzerebbero sottocosto per abbassare i valori di anidride carbonica emessa dalla propria gamma ed evitare così le multe UE
Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza: no, non c’eri. Non esistevi. È l’epilogo, in chiave “fallacesca”, dell’infatuazione di Sir James Dyson per l’auto elettrica. Almeno per il momento. Sono passati poco più di sei mesi da quando il Re inglese dell’aspirapolvere ha salutato definitivamente il progetto di costruire un veicolo a batteria che portasse la sua effige.
Un lasso di tempo necessario per maturare l’accettazione di un fallimento, quasi indigeribile per gli imprenditori di altissima caratura. Così, invece di tumulare il progetto in un angolo remoto della propria corteccia cerebrale, Sir Dyson ha deciso di riaffrontarlo a viso aperto: il miliardario di Norfolk, infatti, si è fatto ritrarre accanto a un prototipo del suo suv a zero emissioni a sette posti, inizialmente ideato per rivaleggiare con la Tesla Model X e avere un’autonomia di un migliaio di chilometri.
Un omaggio a una vettura mai nata e il cui aborto è scaturito da una presa di coscienza: che, per essere sostenibile, l’auto avrebbe dovuto costare almeno 168 mila euro, mediamente più della concorrenza (anche se poi, a ben vedere, alcune versioni della Model X, con gli optional, arrivano a costare 134 mila euro). Ciò al netto degl’investimenti necessari per installare la sua linea produttiva, che sarebbe dovuta nascere a Singapore e che, insieme alla progettazione dell’auto, avrebbe portato il costo dell’impresa a circa 2,8 miliardi di euro.
Nel 2017 Sir Dyson aveva promesso che il suo veicolo avrebbe rivoluzionato l’industria delle quattro ruote nella stessa maniera in cui le sue aspirapolvere avevano fatto nel campo degli elettrodomestici. Ma, evidentemente, l’uomo più ricco di Inghilterra – con un patrimonio di 18,2 miliardi di euro – non ha fatto bene i conti con quelli che sono i due scogli principali dell’industria delle quattro ruote: l’altissima competitività e la bassa redditività.
Da qui la decisione di mettere fine al progetto, fino a ottobre scorso costato a Sir Dyson 560 milioni di euro, provenienti direttamente dal suo conto corrente e non da quello della sua azienda. “Quando abbiamo iniziato nel 2014, avevamo una buona tecnologia e un’auto molto efficiente con una buona autonomia. Era un’idea praticabile”, ha spiegato Dyson al Sunday Times: “Ma quando, successivamente, altri marchi premium (come Audi, BMW e Mercedes, nda) hanno iniziato a produrre auto elettriche in perdita, è diventato troppo rischioso per noi continuare a investire nel progetto”.
Il motivo per cui stanno vendendo automobili in perdita, secondo Dyson, è quello di ridurre i livelli medi di anidride carbonica emessi da tutta la loro gamma di veicoli termici ed evitare le multe nell’Unione europea. “Ma io non ho una gamma di veicoli termici. Ho invece necessità di fare profitto su ogni macchina o metterei a repentaglio l’intera compagnia senza quel profitto. Alla fine era troppo rischioso”, ha ammesso Sir Dyson, che si è dato anche allo sviluppo delle batterie allo stato solido, che promettono di cambiare il volto della mobilità a batteria in termini di efficienza e ingombri. Mai dire mai, comunque, perché se “le circostanze commerciali fossero corrette”, il progetto potrebbe riprendere quota, visto che “la porta del garage è sempre aperta”.