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Coronavirus, l’Anses mette in guardia sull’uso di integratori a base di piante medicinali. Il dottor Fabio Firenzuoli: “Nessun pericolo, benefici provati scientificamente”

L’Agenzia nazionale francese per la sicurezza alimentare, ambientale e della salute sul lavoro ha diramato un comunicato in cui spiega di ritenere che sia probabile che interrompano la risposta immunitaria e la benefica reazione infiammatoria sviluppata dall'organismo all'inizio delle infezioni. Il dottor Fabio Firenzuoli, direttore del Cerfit, Centro di ricerca e innovazione in fitoterapia, Azienda ospedaliero universitaria Careggi, Firenze, spiega perché si tratta di un rischio infondato

di Vita&Salute per il Fatto

Ci sono familiari ormai da tempo per le loro decantate proprietà benefiche. Alcune sono un vero e proprio must, come la curcuma e l’echinacea. A spegnere però gli entusiasmi degli amanti di questi e altri prodotti erboristici, ci ha pensato l’Anses – l’Agenzia nazionale francese per la sicurezza alimentare, ambientale e della salute sul lavoroche di recente ha diffuso un comunicato ripreso anche da alcuni giornali nostrani – in cui si mette in guardia dall’uso di integratori alimentari a base di piante con proprietà antinfiammatorie simili ai Fans (farmaci antinfiammatori non steroidei) o con principi attivi antinfiammatori. Il rischio? Gli esperti ritengono che sia probabile che interrompano la risposta immunitaria e la benefica reazione infiammatoria sviluppata dall’organismo all’inizio delle infezioni. “Un’infiammazione”, affermano all’Anses, “dovrebbe essere combattuta solo quando diventa eccessiva”. E questo vale anche per il Coronavirus.

Tra le piante, compaiono quelle contenenti derivati ​​dell’acido salicilico (analoghi dell’aspirina), come salici, margherite, betulle, pioppi, verga d’oro, poligala ma anche piante contenenti altri farmaci antinfiammatori vegetali, come arpagofito, le già citate echinacea e curcuma, uncaria tomentosa o unghia di gatto, piante dei generi Boswellia e Commiphora (es. incenso e mirra).

In base a queste indicazioni l’Anses raccomanda di interrompere subito il consumo di questi integratori se fatto a scopo preventivo e in caso di comparsa dei primi sintomi sospetti. Come stanno le cose? “Diciamo che non siamo più nella preistoria della medicina quando parliamo di erbe medicinali, perché questo si percepisce leggendo il documento dell’Anses”, commenta il dottor Fabio Firenzuoli, direttore del Cerfit, Centro di ricerca e innovazione in fitoterapia, Azienda ospedaliero universitaria Careggi, Firenze, “in particolare quando affermano che ‘non sappiamo cosa contengono’ questi prodotti. Oggi abbiamo a disposizione moltissime piante medicinali ben studiate dal punto di vista botanico, genetico e fitochimico, ma anche farmacologico. In altre parole, sappiamo come agiscono e come funzionano, a chi le possiamo prescrivere e a chi no, e come. Non ci basiamo più soltanto sulla tradizione, ma sulla letteratura scientifica che le ha valutate in base alla loro efficacia. E alcune di queste sono espressamente autorizzate dalle stesse agenzie europee per la valutazione dei medicinali, come l’Ema o, per la valutazione degli alimenti e integratori, l’Efsa. E tra quelle utilizzabili come immunomodulatori a scopo preventivo c’è proprio l’echinacea, per la quale esistono prove scientifiche che, oltre all’effetto antinfiammatorio, riesce a prevenire malattie delle vie respiratorie. E così altre ancora”.

Dottor Firenzuoli, dato che si parla di piante che in diversi casi hanno fondati benefici per la nostra salute, c’è il rischio che con queste notizie si crei confusione nelle persone e non si ricorra per nessuna ragione al loro utilizzo?
“La confusione è molto probabile, quando si faccia una cattiva informazione, e questo ovviamente può alimentare dubbi, perplessità, giudizi affrettati e consigli sbagliati. Come quello di non usare più questi prodotti perché comunque sia, potrebbero creare qualche danno. Non si possono fare queste affermazione senza circostanziare i concetti. Tutto può far male se male utilizzato, anche l’acqua di sorgente. E anche i prodotti a base di erbe. Ma se non si fanno riferimenti mirati, si rischia anche di precludersi la possibilità di sfruttarne tutte le opportunità e i vantaggi, che pure ci sono, e molti. Ovviamente le piante medicinali vanno usate con criterio, come tutto del resto. Ecco l’importanza della comunicazione, che talvolta invece è basata sull’emotività del momento, come forse è successo per il documento dell’Anses.

Qual è stato l’errore più evidente di quel documento?
“È stato comunicato il concetto – sbagliato – che, analogamente all’ibuprofene (antinfiammatorio non steroideo, ndr), le piante citate potrebbero fare danni alla salute. Ma le erbe che utilizziamo simili all’ibuprofene hanno solo il concetto di antinfiammatorio, la realtà è molto diversa: dalla chimica dei polifenoli al loro meccanismo d’azione, alla loro composizione, in quanto utilizziamo fitocomplessi, cioè pool di sostanze con effetto a ombrello e non a pugnale, sui recettori di cui si parla. Molti di questi peraltro presentano pure il vantaggio aggiuntivo di avere attività antivirali”.

La raccomandazione dell’Anses è rivolta anche a chi consuma quel tipo di piante perché affetto da una patologia infiammatoria cronica. Il paziente dovrebbe discuterne con il proprio medico di fiducia, per verificare se è il caso di proseguire con queste integrazioni. Secondo lei, come dovrebbero orientarsi?
“In realtà proprio nel caso di infiammazioni croniche, si possono presentare le migliori indicazioni all’uso di botanicals, alcuni dei quali meglio tollerati rispetto a certi farmaci di sintesi, e con azioni suppletive. Per esempio la liquirizia, sedativo della tosse, mucolitico, antinfiammatorio e… antivirale! Azione documentata in laboratorio su numerosi virus. Se viene usata e sperimentata con criterio medico, potrebbe portare molti benefici. Altrimenti potrebbe creare anche molti danni. La curcuma nel paziente con complicazioni polmonari post Covid potrebbe invece dimostrarsi utile nel ridurre la componente infiammatoria residua e il rischio di evoluzione in fibrosi”.

Ma allora, in che modo le piante medicinali possono rinforzare le difese in caso di infiammazione in corso? Anche di fronte al Covid-19, quali presidi naturali possono venirci in aiuto?
“Durante la cosiddetta ‘tempesta citochinica’ le pianta ad attività immunostimolante sono controindicate. Ma questo lo sappiamo da sempre: non vanno utilizzate, per esempio, durante un processo autoimmune attivo. Ma questi ultimi sono pazienti ricoverati, che stanno male, hanno bisogno di trattamenti intensivi e fortunatamente sono la minoranza. Esistono invece piante ad attività antinfiammatoria e immunomodulante, come l’Astragalus membranaceus, che in altre fasi della malattia potrebbero giocare un ruolo anche importante, come sul fronte della cardioprotezione”.

Intervista di Ennio Battista, Vita&Salute per il Fatto Quotidiano

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