Il Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia (Cred) ha organizzato venerdì scorso 15 maggio un interessante dibattito sulla recente sentenza del Bundesverfassungsgericht, il Tribunale federale costituzionale tedesco. Tale sentenza, che si è pronunciata contro le prassi di quantitative easing della Banca centrale europea, rappresenta evidentemente la reazione di determinati settori politici ed economici tedeschi che non accettano alcun ridimensionamento dei poteri sovrani del principale Stato europeo e si ispirano alla necessità di tutelare senza compromessi gli interessi di classe dei redditieri legati al mondo della finanza, che percepiscono da molto tempo enormi somme a scapito della grande maggioranza della popolazione europea.

Tutta la costruzione europea è stata del resto orientata, fin dal suo sorgere, al perseguimento di questi ed altri interessi delle classi dominanti. L’Europa è servita, anzitutto, a lorsignori, per mettere in piedi un mercato unico che consentisse la libera circolazione di merci e fattori della produzione (lavoro, servizi, capitali) e questo obiettivo è stato pienamente raggiunto.

Con la stessa implacabile logica la Grecia è stata messa in ginocchio e la sua popolazione affamata da parte della cosiddetta troika, che comprende Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale. Effetti estremamente negativi delle politiche europee sono visibili da tempo anche nel nostro Paese. Ma, si sa, il capitalismo non è mai contento, e l’avidità del settore finanziario fa impallidire la lupa “che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti fé già viver grame”, ritratta da Dante nel primo canto dell’Inferno.

Per questo i timidi tentativi di Mario Draghi, all’epoca presidente della Banca centrale europea, di apporre qualche correttivo al funzionamento brutale e senza limiti dei mercati finanziari, è stato giudicato dal capitale finanziario tedesco come un oltraggio alle proprie prerogative. Ne è derivato il ricorso al Bundesverfassungsgericht di un soggetto politico di destra cosiddetta sovranista, che è il partito Alternative für Deutschland, non alieno da atteggiamenti razzisti e simpatie nostalgiche verso il Terzo Reich.

Il ricorso si è indirizzato contro le misure cosiddette di Pspp (Public Sector Purchase Programme) che sono parte dell’Expanded Asset Purchase Programme (Eapp), stabilito con decisione della Banca centrale europea del 4 marzo 2015. E la Corte di Karlsruhe ha dato ragione ai ricorrenti sotto il profilo della violazione dell’obbligo di verifica della proporzionalità delle misure adottate.

In parole povere la Banca centrale europea avrebbe esagerato, andando oltre le sue competenze e determinando la lesione delle competenze degli Stati nazionali. La sentenza non si riferisce alle misure attualmente in discussione per far fronte alla pandemia da coronavirus e alla spaventosa crisi economica che ne sta risultando, ma è chiaro l’effetto intimidatorio che Afd e gli altri ricorrenti volevano ottenere e probabilmente hanno ottenuto.

Due effetti chiarificatori, tuttavia, questa sentenza li ha avuti. In primo luogo, ha contribuito a stracciare il velo di finta obiettività dietro il quale si nascondono i poteri dei banchieri centrali, questa sorta di grandi sacerdoti dei tempi moderni, che fanno da sempre politica fingendo di applicare ricette misteriose di cui sono ovviamente gli unici depositari.

Occorre invece essere consapevoli del fatto che, come osservano Salvatore D’Acunto e Pasquale De Sena, “la neutralità […] politica della politica monetaria europea è essenzialmente un [… ] mito […] e che, malgrado questa circostanza, tale politica resta, allo stato attuale, nelle mani di un organo tecnico, non soggetto, in quanto tale, a controllo politico”.

Il secondo aspetto è per l’appunto che la sentenza, in linea del resto con precedenti pronunce del Bvg, ha buon gioco a criticare la mancanza di legittimazione democratica della tecnocrazia europea. L’Unione europea costituisce tuttora un ordinamento a fortissimo deficit democratico dove il Parlamento, unico organo espressione in qualche misura dei popoli europei, è ridotto a un ruolo tutto sommato marginale.

Mentre si preannuncia una crisi economica catastrofica ci troviamo insomma, per dirla con Franco Russo, in una micidiale morsa tra destra sovranista e tecnocrazia europea. L’unica speranza di uscirne è che i popoli europei non si rassegnino al ruolo di spettatori passivi alla lotta fra il Godzilla della finanza privata e il King Kong della burocrazia tecnocratica europea, ma decidano di scendere in campo per far valere i loro diritti.

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