Un volume d’affari di 60 milioni di euro e oltre 12 milioni di entrate erariali evase. E’ una maxi truffa al fisco quella scoperta nell’ambito dell’operazione “Work in progress”, condotta da Guardia di finanza e Procura di Parma, che ha visto 36 indagati e sette arresti. Sono stati sequestrati appartamenti, automobili, partecipazioni societarie e una provvista di lingotti d’oro, mentre sono ancora in corso perquisizioni e controlli. 120 i capi di imputazione, che mettono in risalto anche triangolazioni con società estere in diversi Stati dell’Unione Europea e in particolare in Romania. Il personaggio più noto è il facoltoso imprenditore parmense di origini calabresi Franco Gigliotti, già condannato nel settembre scorso a 10 anni per il reato di associazione mafiosa per i suoi contatti con la cosca dell’ndrangheta Farao-Marincola, nel rito abbreviato del processo Stige. Arrestato su richiesta della Procura di Catanzaro, era tornato libero per decisione del Tribunale del Riesame, ma ora è di nuovo dietro le sbarre. Gli altri arrestati, oltre a Franco Gigliotti e Francesco Ingegnoso, sono Giuseppe Gigliotti (cugino di Franco) e Pasquale Romeo, titolari di aziende consorziate alle due capofila; Alessandro Vitale e Michele Mari, legali rappresentanti di società che emettevano fatture false; il consulente fiscale Ennio Di Pietro, che curava le scritture contabili.
Secondo gli accertamenti delle Fiamme Gialle, Gigliotti è accusato di essere a capo di una associazione a delinquere che poggiava su due consorzi di imprese specializzate nell’impiantistica industriale. Il primo è la Steel-Tech, nuovo nome con il quale Gigliotti ha tentato di mascherare la precedente GF Nuove Tecnologie, finita con l’inchiesta Stige sotto la lente della Procura Antimafia di Gratteri. Il secondo è il consorzio IFG Impianti, riconducibile all’imprenditore di origini campane Francesco Ingegnoso, a sua volta arrestato. Associate ai consorzi erano diverse società che acquisivano commesse e lavori, anche all’estero, nel settore tecnologico della meccanica di processo per l’inscatolamento e l’imbottigliamento industriale.
L’associazione a delinquere è accusata di aver utilizzato un insieme variegato di società cartiere, 18 almeno, alcune con sede all’estero, per l’emissione di false fatture che consentivano l’abbattimento degli utili e la compensazione di debiti e crediti. La monetizzazione dei forti guadagni avveniva con il collaudato sistema già utilizzato dalla ‘ndrangheta emiliana dei prelievi agli sportelli bancari e postali. I sequestri effettuati indicano dove poi finisse parte di questi soldi, estendendo il raggio e la capacità d’azione della organizzazione criminale: si tratta di 49 automobili, 75 beni immobili, 55 partecipazioni in società di capitali, dislocati in mezza Italia, dall’Emilia Romagna alla Sicilia, dalla Puglia alla Sardegna, dalla Campania al triangolo Lombardia Piemonte Liguria. Ma i finanzieri hanno anche trovato e sequestrato, come dicevamo, una buona provvista di lingotti d’oro che ha rappresentato la sorpresa delle perquisizioni.
L’inchiesta è coordinata dalla dottoressa Paola Dal Monte della procura di Parma, che già aveva seguito la traccia dei crediti fasulli nell’indagine Paga Globale, andata a processo sempre in territorio parmense. In quel caso si utilizzavano false dichiarazioni anche a danno dei lavoratori sulle loro condizioni contrattuali e di salute. Il Procuratore di Parma Alfonso D’Avino ha elogiato il grande lavoro svolto dalle Fiamme Gialle in una indagine complessa, alla quale si sta lavorando da anni.
Non sfugge il collegamento con l’inchiesta Stige, che ha portato a processo a Catanzaro la cosca calabrese di ’ndrangheta dei Farao Marincola, il cui terminale in Emilia Romagna era appunto, secondo la procura antimafia, Franco Gigliotti, assieme ad elementi di spicco delle due famiglie calabresi insediate nel comune di Cirò Marina e assunti nelle imprese operanti a Parma. Work in progress è una indagine della Procura ordinaria che analizza vicende e indaga reati di rilievo fiscale. Ma che gli atti possano essere intrecciati con il lavoro delle procure antimafia di Bologna e Catanzaro resta naturalmente auspicabile, anche perché il fascicolo processuale di Stige mette in risalto più di un collegamento, in Emilia e nella stessa Parma, tra la cosca Farao Marincola e quella Sarcone/Grande Aracri, che in particolare con il capo Alfonso Diletto comandava anche a Parma e anche ai mafiosi di Cirò.
La meccanica di processo è un settore importante per l’economia delle città dell’Emilia Romagna. Ai due consorzi finiti sotto inchiesta si rivolgevano, dice la Procura, “Società di rilevanti dimensioni e di elevato spessore imprenditoriale nelle province di Parma e Reggio Emilia”. Si rivolgevano a loro perché costavano meno; ma – secondo l’accusa – per abbassare i prezzi operavano nell’illegalità.