Provaci ancora Luca. Nell’acquario del cinema sospeso causa Coronavirus, si parla solo di questo. Luca Guadagnino si è imbarcato nel progetto remake, anzi reboot, di Scarface su uno script dei fratelli Coen. Non c’è ufficialità, perché di stesure e team produttivi per rilanciare perversamente un film immortale e ultramoderno come quello di Brian De Palma del 1983 con Al Pacino, titanico despota criminale immerso nel candore di montagne di cocaina, ne sono cresciuti e scomparsi a palate. Citiamo solo l’ipotesi Pablo Larrain nel 2014 e quella di Antoine Fuqua nel 2018 che sembrava davvero al fotofinish. L’ufficiosità dell’operazione, invece, l’ha riferita Variety. Quindi c’è da stare sicuri che la trattativa è ben avviata e che, soprattutto, da parte della Universal c’è l’intenzione di procedere.
Guadagnino sembra così aver raccolto il testimone di un classico production hell (o development hell), uno di quei progetti dove uno script è già stato venduto ad una major ma cambiano i dirigenti oppure cambiano i termini dell’accordo, e la realizzazione si rimanda in continuazione. Insomma, Steno l’avrebbe chiamata La patata bollente. E per Guadagnino, che ha appena finito di girare una miniserie per HBO ambientata in una base militare statunitense in Italia (We are who we are), che aveva già il colpo in canna per il sequel di Chiamami col tuo nome (un Oscar vinto), e avviata la pre-produzione di un film con Chloe Grace Moretz (Blood on the tracks, con buona pace di Bob Dylan), si tratterebbe di una promozione ulteriore all’interno della mefistofelica Hollywood ma anche un’operazione Icaro mica da ridere.
Tutti a dire, sempre in queste ore, “ma è un reboot”. Si certo, d’accordo. Alla base c’è il romanzo scritto da Armitage Trail del 1929 (vita spericolata tra gangster con tanto di infarto a 28 anni per l’autore), testo che originò il già fulminante Scarface di Howard Hawks con Paul Muni protagonista nel 1932. L’operazione Coen-Guadagnino, quindi, sarà una rilettura ulteriore del romanzo più che la riscrittura dello script che Oliver Stone donò a malincuore a De Palma nell’83.
Insomma, si riprendono in mano i diritti del film, ma scordatevi la montagna di cocaina in cui stramazza Tony Montana, scordatevi il taglio di una gamba di un cubano con una sega elettrica dentro una vasca da bagno, scordatevi la febbrile e scalza Michelle Pfeiffer che si aggira per le stanze della magione del morboso incestuoso fratello. “Il mondo è tuo”, ma stiamoci anche un po’ attenti. Un po’ di riguardo per i cult. Un po’ di attenzione per le statue del mito. Il rischio del kitsch, anche solo alzando e riabbassando i pomelli del volume del soundtrack di Giorgio Moroder, è già nel corridoio con la mucca bersaniana.
Poi certo Guadagnino ha fatto un onesto lavoro nel riprendere in mano sia La piscina di Jacques Deray, trasformata nell’eccellente A bigger splash; sia riesumando Suspiria di Dario Argento, infondendole dei connotati sofisticatissimi da remake zoppo più che da reboot secco. Tanto oramai il reboot, il cosiddetto riavvio che salva le saghe sci-fi dalla loro naturale estinzione creativa, sembra più l’arte del nascondismo alla Mutandari (per citare un Guzzanti profetico) più che un’esibizione vera e propria di un talento visivo in purezza. Per questo Scarface in mano a chiunque, sia chiaro, è un prodotto più che da maneggiare con cura, da osservare da lontano con rispetto, mascherina e distanziamento sociale di un metro e mezzo/due. In Luca, per carità, we trust, ma accidenti che brividi a rileggere che di Scarface se ne rifarà un altro.