Come sarebbe meglio utilizzare gli oltre 3 miliardi di euro dati dal governo ad Alitalia in questa fase di crisi? L’opinione pubblica, la stessa che si è scandalizzata per i 6,5 miliardi di garanzie fornite da Sace a Fca (che ha sede legale a Londra e fiscale ad Amsterdam, una prassi abbastanza usuale per importanti aziende sia private che pubbliche, da Ferrero a Mediaset, da Eni a Enel) sarebbe forse ben più propensa ad assegnarli alla scuola che sta franando sotto i colpi della pandemia.
Alla richiesta di un commento sui 3 miliardi di aiuti ad Alitalia contenuti nel dl Rilancio, un portavoce della Commissione europea ha risposto: “Secondo le norme post Covid-19 gli interventi statali per le ricapitalizzazioni non possono riguardare le società già in difficoltà prima del 31 dicembre 2019. La Commissione Ue collabora con l’Italia e gli altri Stati membri per esaminare le possibilità di sostenere il settore dell’aviazione conformemente alle norme Ue”.
Sembra peraltro che la mancata ‘bollinatura’ da parte della Ragioneria generale dello Stato sia la causa del ritardo nella pubblicazione del decreto da 55 miliardi di euro in cui sono inseriti i fondi per finanziare la newco Alitalia: proprio questi 3 miliardi pare siano uno dei principali problemi su cui la Ragioneria generale dello Stato sta facendo un’analisi suppletiva e per cui non ha ancora dato il suo via libera. Così come sarebbe sotto l’occhio della Ragioneria il tema della cassa integrazione, dove Alitalia fa la parte del leone.
Del resto, dietro il ‘paravento’ della tutela occupazionale in questi anni tutti i governi hanno accettato di tenere in vita un baraccone aziendale costosissimo. Mentre il settore aereo internazionale ha creato ricchezza, quello italiano ne ha distrutta. Inoltre, se a livello globale stanno procedendo le ricerche dei metodi per ridurre le emissioni di CO2, Alitalia neppure si è posta il problema. Il sostegno pubblico della compagnia, durato troppi anni, ha generato l’idea che nel nostro paese possano avere spazio solo politiche corporative e consociative.
In Europa si prevedono rifinanziamenti di parecchi miliardi per Air France, Klm, Lufthansa, British Airways, che però vanno rapportati alle flotte di aerei e al numero degli addetti, che sono nettamente maggiori di quelle di Alitalia. Se è vero che tutte le compagnie aeree europee potranno essere aiutate dagli stati membri, è anche vero che Alitalia è l’unica che continua da decenni a beneficiare di sussidi diretti.
Senza dimenticare quelli indiretti come gli ammortizzatori sociali, che durano da 15 anni e hanno interessato migliaia di lavoratori che per un lungo periodo hanno percepito una Cig extra-lusso. O i ricchi affidamenti delle continuità territoriali (i servizi tra la Sardegna o la Sicilia e il continente) ‘contribuiti’ da Stato e regioni.
Insomma, sono almeno trent’anni che Alitalia si giova di aiuti pubblici, e più essi crescevano più la compagnia di bandiera perdeva quote di traffico: oggi il vettore ha un modesto 15% del mercato domestico, dietro Ryanair (34%) e EasyJet (25%).
La pandemia Covid-19 è venuta in soccorso a quella politica nazional-popolare che dietro la bandiera (italiana) e il ricatto occupazionale ha messo in piedi un esercito corporativo e consociativo tale per cui oggi si può – di nuovo – nazionalizzare la vecchia e inefficiente compagnia di bandiera. La gara in corso per la sua vendita è stata annullata senza una spiegazione facendo diminuire, ancora di più, la credibilità italiana.