Nell'ordinanza della Procura di Potenza emerge la continuità d'azione dei 'fedelissimi' dell'ex procuratore capo, che riesce a non essere indagato grazie al suo successore Antonino Di Maio, che insabbia il fascicolo e chiede l'archiviazione per il braccio destro del suo predecessore. Dalle testimonianza di un pm, inoltre, spunta il nome dell'ex collaboratore di Salvini, che lavora al Senato e che, come emerso anche nel filone d'inchiesta sui falsi dossier Eni, era descritto come vicino anche all'attuale presidente del Senato, che non è indagata e il cui nome è citato da una delle persone coinvolte nell'inchiesta dei pm potentini
“Se tu hai bisogno di qualche cosa… vedi che comandiamo noi ancora là. Quindi stai tranquillo”. Anche quando Carlo Maria Capristo lascia l’incarico procuratore capo di Trani per assumere lo stesso ruolo a Taranto, la procura tranese resta nelle sue mani. E in quelle del gruppo dei “fedelissimi”. Tra questi fedelissimi c’è Nino Mancazzo, uno degli imprenditori finiti con lui ai domiciliari con l’accusa di aver fatto pressioni su un pubblico ministero di Trani affinché mandasse a processo un uomo che Mancazzo e i suoi fratelli Cosimo e Giuseppe, anche loro ai domiciliari, avevano denunciato per usura. “Sopra a cinque dita di una mano si potevano contare eh! Non è che erano assai i fedelissimi” afferma Domenico Cotugno, ex cancelliere in pensione non indagato nella vicenda, ma ritenuto anche lui parte del “club tranese”. Mentre è al telefono con Nino Mancazzo, Cotugno si lascia andare ad affermazioni che aprono uno squarcio inquietante sulla gestione degli affari penali a Trani, dove qualche tempo fa altri due magistrati sono stati arrestati per vicende diverse (gli ex pm Antonio Savasta e Michele Nardi) e un altro indagato (Luigi Scimè).
Dalle intercettazioni dell’ultima inchiesta emerge che erano in pochi a tenere le redini della procura di Trani. “Abbiamo fatto una forza” dice Cotugno all’imprenditore Mancazzo. Dalla ricostruzione della procura di Potenza, Capristo e gli altri potevano contare su amicizie influenti. Nelle 200 pagine che compongono l’ordinanza di custodia cautelare, infatti, il gip di Potenza Antonello Amodeo, scrive di legami con “alte sfere istituzionali” e cioè “persone a conoscenza delle dinamiche carrieristiche e legate alle nomine dei ruoli direttivi in magistratura”. Come Filippo Paradiso, già collaboratore di Matteo Salvini, indagato in un filone della mega-inchiesta romana su un presunto giro di sentenze comprate anche al Consiglio di Stato. Originario della Puglia in passato ha prestato servizio negli uffici di diretta collaborazione dei vari sottosegretari alla Presidenza del Consiglio, con Prodi come con Berlusconi.
Di Paradiso in passato ha parlato anche l’avvocato Giuseppe Calafiore, coinvolto nello scandalo sui depistaggi dell’inchiesta Eni che portò all’arresto del pm siciliano Giancarlo Longo e dell’avvocato Piero Amara. E fu proprio Calafiore a svelare agli inquirenti che “Capristo era legatissimo a Paradiso e questo legame si estrinsecò anche in occasione della nomina di Capristo a Procuratore di Taranto”. E le indagini della procura di Potenza guidata da Francesco Curcio hanno dimostrato che in effetti Capristo e Paradiso erano estremamente intimi. A svelarlo è la dottoressa Silvia Curione, il pubblico ministero di Trani vittima delle pressioni di Capristo e dei fedelissimi. Nella sua denuncia, infatti, ha raccontato di essere andata a casa dell’allora procuratore di Trani con Lanfranco Marazia, suo marito, anche lui magistrato e in servizio a Taranto.
Capristo, infatti, sapeva che presto sarebbe diventato capo degli inquirenti ionici e al marito della donna aveva chiesto informazioni sulla situazione della procura tarantina. Ed è in quella occasione che, in casa di Capristo, alla coppia di coniugi magistrati viene presentato Paradiso: “Ricordo – ha raccontato Marazia ai magistrati di Potenza – che ad un certo punto arrivò un uomo di circa 50 anni che si dava del tu con Capristo e la moglie. Sembrava uno di casa. Si trattava di Paradiso Filippo che si presentò come esponente della Polizia di Stato che lavorava a Roma non ricordo se al Ministero degli Interni oppure presso altro organismo”. Paradiso è un anello fondamentale per il gruppo dei fedelissimi: nelle carte dell’inchiesta emergono i suoi legami con Maria Elisabetta Alberti Casellati. La presidente del Senato non è indagata nell’inchiesta della Procura di Potenza, ma nelle carte il suo nome è citato sei volte, sempre de relato. Nella fattispecie, è l’ex funzionario della cancelleria del tribunale di Trani, il dottor Domenico Cotugno (anche lui non indagato) a citare l’attuale numero uno di Palazzo Madama definendola – ma l’affermazione non trova riscontri – “un’amica nostra”, in riferimento ai rapporti dell’esponente di Forza Italia con Carlo Maria Capristo e con Filippo Paradiso. La citazione di Cotugno, uno dei ‘fedelissimi’ di Capristo, avviene in una telefonata intercettata con Nino Mancazzo in cui secondo il gip Amodeo si allude “alla possibilità per i fedelissimi di ottenere credito presso la stessa”. Una circostanza, quella dei legami tra Paradiso e la Casellati, confermata anche dalle dichiarazioni rilasciate dall’avvocato Giuseppe Calafiore. Contattato da ilfattoquotidiano.it, lo staff della presidente Casellati non ritiene di commentare.
Per il gip di Potenza si tratta di un vero e proprio “centro di potere a Trani” che include pubblici ufficiali e soggetti privati legati al procuratore Capristo, “capace non solo di influenzare le scelte di quella procura, ma anche di coinvolgere altre istituzioni”. E anche dopo la partenza di Capristo da Trani, i fedelissimi possono contare, secondo quanto emerge dalle indagini svolte dai finanzieri e dalla Squadra mobile di Potenza, sul suo successore, Antonino Di Maio. È quest’ultimo a ricevere la denuncia della giovane magistrata al centro delle pressioni di Capristo, ma sorprendentemente prova a insabbiare tutto. Il perché sembra emergere dalle telefonate captate dagli investigatori: “E’ un galantuomo” dicono i fedelissimi e soprattutto “e un amico suo”. Per il gip è la prova che di come Capristo “potesse avere ancora un’ingerenza di fatto sugli affari della Procura di Trani”. La testimonianza di come, insomma, il sistema Trani avesse trovato il modo di andare avanti. Nonostante i magistrati trasferiti o arrestati.