Il magistrato si trova ai domiciliari per un'inchiesta della procura di Potenza (competente per i reati compiuti dai pm del capoluogo ionico): secondo l'accusa ha cercato di condizionare l'indagine di un pubblico ministero di Trani, dove guidava la Procura prima del suo trasferimento a Taranto. Stesso provvedimento per altre 4 persone, tra cui un poliziotto. Indagato Antonio Di Maio, il successore di Capristo alla guida della Procura di Trani
Tentata induzione a dare o promettere utilità, falso e truffa. Sono le accuse – contestate a vario titolo – che hanno portato agli arresti domiciliari il procuratore capo di Taranto Carlo Maria Capristo, un ispettore di polizia e tre imprenditori pugliesi. Indagato per abuso d’ufficio e favoreggiamento personale anche Antonino Di Maio, il successore di Capristo alla guida della Procura di Trani. La storia che si legge nell’ordinanza del gip del Tribunale di Potenza è quella di un sopruso e di una ribellione. Gli arrestati, infatti, cercarono di convincere un giovane magistrato della Procura di Trani a chiudere le indagini per usura e avviare il processo contro un imprenditore, senza che ce ne fossero i presupposti e solo perché gli interessati avevano un obiettivo ben preciso: ottenere indebitamente i vantaggi economici e i benefici di legge conseguiti dallo status di vittime di usura. Motivo per cui avevano già provveduto a denunciare il malcapitato imprenditore.
Il pm Silvia Curione, però, si è ribellata. Ha detto no a quell’invito – arrivato per bocca di un poliziotto inviato dal procuratore capo di Taranto – e ha svelato una trappola in cui sarebbe dovuto cadere un innocente calunniato. Ma chi doveva indagare non solo non lo ha fatto, ma ha chiesto l’archiviazione. Il fascicolo, avocato dalla Procura generale di Bari, è stato trasmesso per competenza funzionale alla Procura di Potenza, che un anno fa ha avviato le indagini. Oggi è arrivata la fine di questa storia – iniziata a gennaio del 2018 e proseguita per quasi due anni – che potrebbe farne sbocciare tante altre. Intanto ci sono le misure cautelari odierne, eseguite dalla Guardia di finanza e dalla Squadra mobile di Potenza.
Due alti magistrati indagati: no ai domiciliari, l’altro indagato – Come detto, tra i protagonisti di questa vicenda ci sono nomi molto pesanti: c’è il Procuratore capo di Taranto Carlo Maria Capristo (ex capo della Procura di Trani), l’ispettore di polizia Michele Scivittaro, in servizio presso la Procura di Taranto (e parte della scorta di Capristo) e tre imprenditori della provincia di Bari, i fratelli Giuseppe, Cosimo e Gaetano Mancazzo. Tra gli indagati anche il magistrato Antonino Di Maio: per il successore di Capristo a Trani, le accuse sono di abuso d’ufficio e favoreggiamento personale. Vale la pensa ricordare che quella di Trani è la stessa procura in cui operavano i magistrati Savasta e Nardi, arrestati per corruzione nei mesi scorsi per vicende diverse. Per i cinque arrestati il giudice per le indagini preliminari, Antonello Amodeo, ha disposto i domiciliari come da richiesta della procura guidata da Francesco Curcio. Contestualmente sono state effettuate anche perquisizioni nelle case degli indagati e anche nell’abitazione del procuratore Di Maio a Roma. Anche per Di Maio c’era una richiesta di misura: il divieto di dimora in Puglia che è stata revocata dagli inquirenti proprio perché da febbraio il magistrato è in servizio a Roma.
La truffa ai danni dello Stato: gli extra del poliziotto firmati come straordinari – Il procuratore Carlo Maria Capristo e Scivittaro, inoltre, sono “gravemente indiziati di truffa ai danni dello Stato e falso”: secondo l’accusa, anziché lavorare in Procura o per il suo ufficio, andava in giro – tra Andria, Giovinazzo, Bari – a farsi gli affari suoi o a sbrigare faccende d’interesse di Capristo. Tantissime giornate di lavoro extra che però venivano pagati come straordinario dallo Stato perché il procuratore provvedeva a firmare gli statini dei servizio dell’agente. Tutto questo dal gennaio 2018 a oggi, come si legge nel capo di imputazione, “con l’avallo del procuratore Capristo che controfirmava le sue presenze in servizio e gli straordinari mai prestati”. Per Capristo è una nuova tegola giudiziaria dopo l’accusa di abuso d’ufficio mossa dai magistrati di Messina nell’inchiesta sul “sistema Siracusa“, una presunta organizzazione che secondo l’accusa era in grado di pilotare le decisioni del Consiglio di Stato, ma anche di aggiustare le richieste provenienti da magistrati e politici. Anche i fatti siciliani che coinvolgono il capo degli inquirenti tarantini, riguardano il periodo in cui Capristo era procuratore di Trani.
Si tratta del famoso depistaggio sull’inchiesta Eni: nel capoluogo tranese era infatti giunto uno degli esposti anonimi redatti dall’avvocato siciliano Piero Amara per mettere in piedi una sorta di depistaggio delle indagini sull’Eni per le tangenti versate dal colosso petrolifero in Nigeria. Per i giudici messinesi, Capristo avrebbe inviato l’esposto anonimo non ai colleghi di Milano, competenti su quella vicenda, ma a Siracusa dove l’allora pubblico ministero Giancarlo Longo, che ha patteggiato una condanna per corruzione e associazione a delinquere, su input di Giuseppe Amara, fratello di Piero e legale esterno dell’Eni, aveva messo in piedi un’indagine priva di qualunque fondamento con il solo scopo di intralciare l’inchiesta milanese in cui è coinvolto anche l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi.
Silvia Curione, il magistrato che ha denunciato – In questa storia non ci sono le figure di toghe infedeli alla loro funzione di amministrare la giustizia, ma anche quella di un magistrato che, avvicinata dall’agente perché concludesse la pratica che doveva favorire gli imprenditori e costare una accusa di usura a un innocente, ha agito di conseguenza. Nell’ordina di custodia cautelare viene riportata integralmente la relazione riservata redatta dal sostituto procuratore Silvia Curione il 24 luglio del 2018 e inviata al suo capo ufficio, Di Maio, per raccontargli dell’accaduto. Ovvero il presunto reato di usura mai commesso ai danni dei fratelli Mancazzo che avevano presentato “istanza di sospensione di due procedure esecutive immobiliari pendenti dinanzi al Tribunale di Bari“.
Il “materiale acquisito – prosegue la pm di Trani – mi convinceva della infondatezza della notizia di reato e mi portava altresì a dubitare della genuinità della narrazione posta a base della denuncia-querela, tant’è che incardinavo un autonomo modello 21 a carico dei fratelli Mancazzo per il delitto di cui all’articolo 368 codice penale in danno di Cuoccio” ovvero calunnia. In quell’ambito, aggiunge, ”avanzavo richiesta di intercettazione telefonica sulle utenze in uso ai fratelli Mancazzo, al loro cugino Angelo e a Cuoccio. L’aspetto che maggiormente rileva ai fini della presente relazione è che in data 16 aprile 2018 sì è presentato nel mio ufficio Michele Scivittaro, agente della polizia di Stato che a Trani collaborava con il Procuratore dottor Capristo, con cui tuttora collabora presso la Procura di Taranto. Io l’ho fatto accomodare proprio perché conosciuto in quanto tale”. E a questo punto che il poliziotto inviato, secondo la ricostruzione dei pm di Potenza, da Capristo dice che è necessaria una imputazione di usura. “Io mi limitavo a riferire al predetto che avrei prontamente definito il fascicolo (in realtà avevo già approntato la richiesta di archiviazione che tuttavia non avevo ancora depositato, in attesa di avere certezza sulle utenze telefoniche effettivamente in uso agli interessati e oggetto di intercettazione) e che se i denuncianti avessero inteso chiedere il sequestro di effetti cambiari, avrebbero dovuto depositare apposita istanza. La visita dello Scivittaro mi ha lasciata perplessa, tanto che informavo immediatamente la S.V. tramite sistema whatsapp”.
Depositata la richiesta di archiviazione il magistrato faceva intercettare Scivittaro.” Inoltre, sia pure con linguaggio criptico, dalle intercettazioni si evince che la richiesta di archiviazione è stata sottoposta al dottor Capristo e che questi avrebbe riferito di voler visionare l’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione prima del deposito da parte dell’avvocato. Faccio presente – conclude la pm – che allorché gli interlocutori usano l’espressione “bambina mia”, il riferimento è chiaramente fatto a chi scrive, poiché il dott. Capristo era solito chiamarmi in questo modo (d’altronde è inequivocabile anche il riferimento a mio marito, di Bitonto, che svolge funzioni di sostituto procuratore presso la Procura di Taranto), così come il riferimento al “ragazzo del maestro” è chiaramente operato a Michele Scivittaro, collaboratore del dottor Capristo”. Ma Di Maio non ha mai indagato su Capristo che conosceva da tempo ed è così che l’inchiesta è stata avocata dalla procura generale di Bari.
Capristo cercò di convincere Curione a “perseguire ingiustamente” l’imprenditore denunciato dai Mancazzo facendo temere al magistrato ritorsioni sul marito, il pm Lanfranco Marazia, suo sostituto alla Procura jonica e tenuto in grande considerazione fino a un certo momento. Il magistrato, sentito a verbale, ha dichiarato che a un certo punto Capristo – che pur lo aveva applicato alla Dda di Lecce – cominciò a ignorarlo. Marazia, siamo e gennaio 2018, aveva segnalato una fuga di notizie sull’indagine relativa alla Cementir di Taranto, Enel di Brindisi e Ilva. Ma non solo: il giorno dopo l’audizione di Marazia a Potenza, di cui nessuno sapeva nulla e relativa all’indagine, Capristo non solo non lo salutò ma girò il volto dall’altra parte. Del resto come testimoniano i tabulati fino a un certo punto Capristo sentiva spesso il suo sostituto che da un certo punto in poi cominciò a vivere “un incubo“.
Il procuratore, “i fedelissimi” e “le amicizie nelle alte sfere istituzionali – Il giudice nel decidere gli arresti sottolinea come nei confronti degli indagati sussistano per le “modalità concertate e spregiudicate” delle loro azioni. Ma non solo il giudice riporta quello che è lo sfondo non di minore importanza in tutta la vicenda. “Un contesto ambientale” con una ”cerchia di fedelissimi” intorno al procuratore Carlo Maria Capristo (nominato dal Csm a capo della procura prima dello scandalo sulle nomine dei capi degli uffici giudiziaria, ndr), in alcune intercettazioni definito “maestro”. Una espressione quella di “fedelissimi” in cui è incluso anche un cancelliere, funzionari, pubblici dipendenti ed imprenditori, in un legame “non solo di tipo professionale” ma ”orientata a privilegiare gli interessi personali dei suoi componenti”. E infine il “maestro” poteva contare anche su “ulteriori amicizie” nelle “alte sfere istituzionali”.
Aggiornamento
Precisiamo che, in data 1 aprile 2022, il GUP presso il Tribunale di Potenza ha disposto non luogo a procedere nei confronti di Antonino Maria Di Maio, perché il fatto non sussiste.