In tempi di spending review dovuta al coronavirus il Vaticano rivede la sua politica finanziaria. Dopo i numerosi e severi tagli fatti per affrontare quella che nei sacri palazzi definiscono come “l’inevitabile recessione economica”, la Santa Sede ha smantellato la rete di holding svizzere creata dopo i Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929 firmati, sotto il regno di Pio XI, dall’allora cardinale Segretario di Stato vaticano Pietro Gasparri e Benito Mussolini. Le holding, stando a quanto riporta il Corriere della Sera, ai prezzi attuali di mercato potrebbero valere centinaia di milioni di euro. Si tratta di una parte dei beni esteri dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica presieduta dall’ex segretario generale della Conferenza episcopale italiana, monsignor Nunzio Galantino. A essere chiuse contemporaneamente sono state nove società immobiliari e finanziarie di Losanna, Ginevra e Friburgo con il trasferimento del loro patrimonio sotto la holding più antica: la Profima Société Immobilière et de Participations di Ginevra fondata nel 1926 dal banchiere della Comit, Bernardino Nogara, proprio su incarico del Papa della Conciliazione, Pio XI.
I capitali investiti anche nelle società svizzere derivano dall’indennizzo assegnato al nascente Stato della Città del Vaticano al momento della stipula dei Patti Lateranensi. Ben 750 milioni di lire in contanti e un miliardo in buoni del Tesoro al 5 per cento. Soldi riconosciuti come compensazione per il territorio dell’ormai ex Stato Pontificio annesso al Regno d’Italia dopo la breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870. Un patrimonio costituito attualmente in immobili, terreni e investimenti liquidi ora confluito in Profima e valutato oltre 44 milioni di euro. Ma, secondo gli analisti, si tratta di un valore puramente storico che non riflette gli attuali e molto più elevati prezzi di mercato. La rete estera dell’Apsa è attualmente concentrata in tre holding: Profima in Svizzera, la British Grolux Investments in Gran Bretagna e Sopridex in Francia.
La decisione di smantellare la rete di holding svizzere rientra nel piano di razionalizzazione indicato fin da subito da Papa Francesco. Una missione che si è molto intensificata ultimamente proprio a seguito della crisi finanziaria causata dalla pandemia. Ai media vaticani, il prefetto della Segreteria per l’economia, il gesuita padre Juan Antonio Guerrero Alves, ha rivelato che recentemente sono state fatte “alcune stime. Le più ottimistiche calcolano una diminuzione delle entrate intorno al 25 per cento. Le più pessimistiche intorno al 45 per cento. Noi non siamo in grado di dire oggi se ci sarà una diminuzione delle donazioni all’Obolo di San Pietro o una diminuzione dei contributi che arrivano dalle diocesi. Sappiamo, però, perché lo abbiamo deciso noi e per la difficoltà di pagare il canone da parte di alcuni affittuari, che ci sarà una contrazione delle rendite derivanti dagli affitti. Avevamo già deciso, approvando il budget di quest’anno, che le spese andavano ridotte, per abbassare il deficit. L’emergenza del dopo coronavirus ci obbliga a farlo con maggiore determinazione. Lo scenario ottimista o quello pessimista dipendono in parte da noi (da quanto saremo capaci di ridurre i costi) e in parte da fattori esterni, da quanto realmente le entrate diminuiranno (le entrate non dipendono da noi). In ogni caso, se non ci sono ricavi straordinari, è evidente che ci sarà un aumento del deficit”.
Per il gesuita “il Vaticano non rischia il default. Questo non vuol dire però che non dobbiamo affrontare la crisi per quella che è. Abbiamo sicuramente davanti anni difficili. La Chiesa compie la sua missione con l’aiuto delle offerte dei fedeli. E non sappiamo quanto la gente potrà donare. Proprio per questo dobbiamo essere sobri, rigorosi. Dobbiamo amministrare con la passione e la diligenza del buon padre di famiglia. Ci sono tre cose che non sono in discussione, nemmeno in questo tempo di crisi: la retribuzione dei lavoratori, gli aiuti alle persone in difficoltà e il sostegno alle Chiese bisognose. Nessun taglio riguarderà chi è più vulnerabile. Non viviamo per salvare i budget. Abbiamo fiducia nella generosità dei fedeli. Ma dobbiamo dimostrare a chi ci dona parte dei suoi risparmi che i suoi soldi sono ben spesi. Ci sono tanti cattolici nel mondo disposti a donare per aiutare il Santo Padre e la Santa Sede a compiere la propria missione. È a loro che dobbiamo rendere conto. E a loro che possiamo ricorrere”.
“Noi – aggiunge padre Guerrero – non abbiamo né la leva della politica monetaria e né quella della politica fiscale. Noi possiamo contare solo sulla generosità dei fedeli, su un piccolo patrimonio e sulla capacità di spendere meno. Contrariamente a quello che in tanti pensano non ci sono grandi salari qui”. Per il futuro “bisogna non solo evitare investimenti non etici, ma anche promuovere investimenti legati ad una diversa visione dell’economia, alla ecologia integrale, alla sostenibilità”. E ancora: “Noi non siamo una grande potenza. Si discute della difficoltà a farcela di grandi Paesi europei. Immaginiamo noi. Dobbiamo essere umili. Siamo una famiglia che ha un piccolo patrimonio e l’aiuto generoso di molti. Ce la faremo. Con la nostra capacità di amministrare bene. Con l’aiuto di Dio e dei fedeli. La Chiesa tutta è sostenuta così. Partiremo dalla condivisione della verità della situazione economica. Il meglio che possiamo fare è essere diligenti e trasparenti. Conteremo sul denaro sul quale potremo contare. Costruiremo per il 2021 un budget a base zero. Partendo dall’essenzialità della missione”.