Dopo la comunicazione notturna di cassa integrazione a 1000 operai dello scorso venerdì, sale la tensione negli impianti liguri: proteste e blocchi. Il 22 corteo degli operai di Taranto. Mentre i sindacati chiedono un incontro urgente al governo, che si prepara al peggio. Il ministro dello Sviluppo Economico: "Dovremo rivedere i nostri intendimenti". Il Mise convoca azienda e sindacati per lunedì 25
La crisi del coronavirus rischia di accelerare un nuovo tentativo di ArcelorMittal di disimpegnarsi dagli stabilimenti ex Ilva. Il sospetto, condiviso da sindacati e governo, cresce di giorno in giorno viste le mosse della multinazionale dell’acciaio con la cassa integrazione fatta scattare in notturna e senza preavviso. E i continui “no” ai delegati di Cornigliano-Genova, che avevano avanzato la richiesta di poter svolgere un’assemblea nel piazzale interno della fabbrica. Un invito declinato dall’azienda avanzando come giustificazione le misure anti-Covid. Un pretesto, secondo i sindacati, che la scorsa settimana – Fiom in testa – avevano già avanzato dubbi dopo il blocco di alcuni impianti in Francia che riforniscono i due siti liguri. Così gli operai alzano lo scontro, tra cortei, scioperi e blocchi ai cancelli negli stabilimenti liguri, mentre venerdì 22 è già in programma un corteo a Taranto. Mentre l’esecutivo si muove e convoca azienda e parti sociali lunedì 25 in videoconferenza alle 11.
Lunedì gli operai avevano sfilato in corteo fino in prefettura, in seguito alla decisione di mettere in cassa integrazione 1.000 lavoratori dalla sera alla mattina. L’incontro ha prodotto una fumata nera e i delegati hanno chiesto di indire un’assemblea a cui potessero partecipare tutti i lavoratori, compresi i dipendenti cassintegrati. Di fronte al no, è stato indetto un nuovo sciopero dalle 8.30 alle 10 e l’assemblea si è tenuta all’aperto davanti ai cancelli. Mentre a Novi Ligure è stato deciso uno sciopero a oltranza di fronte a un “atteggiamento incomprensibile da parte dell’azienda” che “da un giorno all’altro ha deciso di fermare tutto lo stabilimento”.
“L’atteggiamento arrogante di questa azienda è vergognoso”, dicono i sindacati che lunedì sera – con una lettera congiunta – hanno chiesto un “incontro urgentissimo” al governo di fronte a una situazione industriale “drammatica”, la “riduzione al minimo della produzione di acciaio” e la “quasi totalità degli impianti fermi a valle del ciclo produttivo in tutti i siti”, nonché il blocco degli investimenti per l’ambientalizzazione e lo stato di abbandono degli impianti.
Una situazione di fatto condivisa dal governo, che aveva seppellito l’ascia di guerra firmato un accordo con Mittal poco prima dell’era Covid nel quale comunque restava una possibile via d’uscita a novembre per l’azienda. Uno spettro che avanza, nella consapevolezza del ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli: “Mittal sta facendo capire che non ha nessuna intenzione di restare e questo certamente ci costringerà di rivedere i nostri intendimenti”, ha detto in un’intervista a La Stampa mentre si apre anche il fronte della Thyssenkrupp di Terni.
“Se ha deciso di andare via e di sfasciare la siderurgia italiana dobbiamo farli andare via il prima possibile”, è la presa di posizione del coordinatore della rsu della fabbrica di Cornigliano, Armando Palombo. Gli operai di Novi Ligure hanno deciso di agire praticamente, bloccando la merce già venduta in uscita dall’impianto, e lo stesso potrebbe accadere da mercoledì a Genova. La convocazione dell’azienda arriverà a breve, ha assicurato la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo: “La situazione va risolta – ha detto – la siderurgia è strategica e va mantenuta e vanno tutelati i lavoratori”.
Ma si preparano alla mobilitazione anche gli operai del siderurgico di Taranto. Per Fim, Fiom e Uilm il “tempo è scaduto” ed il 22 maggio scatterà l’ora della mobilitazione. La protesta, scrivono in una nota unitaria, sarà contro “l’inspiegabile scelta da parte di ArcelorMittal di chiudere tutta l’area a freddo e aumentare il numero di lavoratori in cassa integrazione determinando, di fatto, un rischio per la sicurezza dei lavoratori e degli stessi impianti”. Una scelta definita “incomprensibile” e “con il solito fine ricattatorio nonostante ci siano commesse già in ordine e mai interrotte”.