Chiedere un prestito garantito al marito con il quale si sta divorziando sembra una cosa alquanto inusuale. E’ quanto sta facendo Atlantia con il governo. L’Esecutivo ha approvato un meccanismo di ristoro nel dl Rilancio che mette sullo stesso piano aziende diverse. La richiesta di 1,8 miliardi sotto forma di garanzia di Sace da parte di Atlantia, la holding che controlla Aspi e Adr, lascia molto perplessi per diversi motivi.
Intanto la storia di degli ultimi 20 anni di Autostrade per l’Italia (Aspi) è fatta di extraprofitti che sono stati tutti prosciugati dalla controllante Atlantia, lasciando Aspi super indebitata, con la compiacente acquiescenza di chi al Ministero avrebbe dovuto controllare. Con i 10 miliardi di dividendi pompati via da Aspi, Atlantia si è comprata l’Aeroporto di Roma, quello di Nizza, una quota importante dell’Eurotunnel, il 50% di Abertis (le autostrade spagnole) e altri ricchi asset. Se ora Aspi è in difficoltà dovrebbe essere Atlantia stessa a rimettere nella controllata parte dei fondi prelevati negli anni e a garantire quanto necessario senza chiedere l’intervento dello Stato. Ci dicono che senza la garanzia dello Stato e nuovi finanziamenti dalla Cassa depositi e prestiti, Aspi fallirebbe: che allora la cedano allo Stato per 1 euro, avendo già incassato in dividendi molto molto di più di quanto investito.
A differenza dei mercati dell’auto e del trasporto aereo che avranno tempi lunghi per la ripresa, l’asset più importante di Atlantia (le autostrade) sono già in netta ripresa di traffico tant’è vero che il titolo continua a crescere in borsa. I tir sulla lunga distanza e i furgoncini dell’e-commerce stanno lavorando talmente tanto che è come se fossimo a Natale, con la catena logistica quasi al collasso. Per paura dei contagi da coronavirus e per la loro cronica inefficienza, invece, treni e servizi di Tpl sono scartati dai pendolari che hanno aumentato l’uso della loro automobile.
Con un contenzioso con lo Stato aperto da quando è crollato il ponte Morandi a Genova e una legge, l’art 35 della Milleproroghe, che parla espressamente di revoca della concessione, e con alcuni suoi manager sotto inchiesta, l’Aspi ha chiesto 20 miliardi di indennizzo in caso di revoca. Non solo: grazie a questo negoziato al momento la concessionaria non ha ancora pagato un euro per la ricostruzione del Morandi (i fondi sono quelli stanziati dal decreto Genova del governo che ha anche nominato il commissario per la ricostruzione).
Nel frattempo Autostrade per l’Italia sembra già molto vicina ad un accordo con il governo di cui il prestito garantito non è che il suggello di un puzzle impensabile fino ad un anno fa. Sarà lo Stato, attraverso Cassa depositi e prestiti e probabilmente con il supporto del fondo investimenti F2i, a comprare il 51% di Aspi, che dunque non verrà messa sul mercato. Un modo per tenere alto il valore del pacchetto messo in vendita, che dovrebbe aggirarsi tra 4 e 5 miliardi: soldi che torneranno nelle tasche dell’azionista di maggioranza.
Il governo nella trattativa con Atlantia sta anche concordando un piano tariffario – sottratto alla competenza dell’Autorità dei trasporti e che non mina lo stato di salute di Aspi – ha lasciato indefinito il quantitativo del risarcimento/penale da pagare dopo il crollo del ponte Morandi e sta valutando il valore di Aspi (attualmente controllata da Atlantia per l’88%). Questo è il “buffetto” che il governo intende far pagare ad Atlantia: al posto della ben più salata e delegittimante revoca della concessione, la perdita del controllo di Aspi.
Questo accordo ha bisogno di un ulteriore consenso: ecco quindi in arrivo mille euro di azioni gratis per i 12mila dipendenti del Gruppo, con i sindacati dei trasporti e confederali che parleranno dell’avvio di una nuova fase di democrazia economica e di ripresa della concertazione (imprese, governo e sindacati). In realtà, l’accordo altro non è che un ritorno all’intervento dello Stato nella (parziale in questo caso) gestione dei servizi, per mezzo di una manovra con contenuti al alto tasso consociativo e corporativo ai danni dei più deboli e dei contribuenti.