Se i risultati continueranno a essere promettenti e con l’assenso dell’Aifa, anche la terapia del plasma potrà avere la sua Fase 2. Obiettivo? Produrne in quantità industriale per almeno quattro anni. E con ogni probabilità il nuovo business sarà in mano alla Kedrion Biopharma, colosso dei plasmaderivati con un fatturato annuo di circa 800 milioni, di proprietà della famiglia Marcucci. L’amministratore delegato è Paolo Marcucci, fratello maggiore del senatore e capogruppo Pd Andrea, che a sua volta è consigliere di amministrazione di Kedrion con funzione di supervisione sugli Stati Uniti. La notizia è stata anticipata domenica da Il Giornale dopo l’audizione, non prevista, dell’amministratore delegato e presidente dell’azienda Paolo Marcucci. Contattata dal Ilfattoquotidiano.it la Kedrion spa ha respinto qualsiasi accusa di possibile conflitto d’interessi: “Nessun supporto politico è richiesto per lo sviluppo di questo importante progetto”.
La terapia del plasma – Da diverse settimane il Policlinico San Matteo di Pavia e il Carlo Poma di Mantova hanno avviato e chiuso una prima fase di sperimentazione su 49 pazienti Covid che, secondo il direttore dell’unità di virologia di Pavia Fausto Baldanti sta dando risultati promettenti: “All’inizio la mortalità era tra il 13 e il 15% – ha spiegato – mentre con la cura del plasma iperimmune è scesa al 6%”. Al momento, nonostante i buoni risultati della ricerca che martedì è stata estesa anche a 120 ospiti delle case di riposo di Mantova mentre Lombardia e Veneto stanno facendo partire chiamate per i guariti per creare delle banche dati di plasma, si aspetta la pubblicazione sulla rivista scientifica Jama che dovrebbe avvenire a breve.
Nel frattempo, una settimana fa, l’Istituto Superiore di Sanità e l’Aifa hanno deciso di designare l’azienda ospedaliera universitaria di Pisa come capofila del progetto dopo averlo testato su due pazienti con ottimi risultati: è stato scelto il progetto “Tsunami” del professor Francesco Menichetti, direttore di malattie infettive a Cisanello (Pisa). Per questo nei giorni scorsi è esplosa la polemica con lo pneumologo di Mantova Giuseppe De Donno che non ha preso bene la designazione della città toscana: “Pisa non sa neanche cos’è il coronavirus”, ha detto. In audizione al Senato poi De Donno ha fatto un riferimento al fatto che la decisione di assegnare il progetto a Pisa dipenda da una questione politica (la Toscana è governata dal centrosinistra, al contrario della Lombardia): “La scienza non può avere colori”, ha sostenuto. Il governatore Enrico Rossi ha minacciato di querelarlo e il primario ha replicato che così “è la a politica che vuole ammutolire la scienza”. A questo, due giorni dopo, si aggiunge il fatto che tra i 13 membri del Comitato scientifico sul progetto Tsunami ci siano molti medici di tutta Italia ma nessuno del Poma di Mantova dove era partita la sperimentazione.
Plasma prodotto industriale – Nella stessa audizione al Senato di giovedì scorso in commissione Igiene e Sanità del Senato, l’intervento di De Donno è stato preceduto dal presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi che alla fine del suo discorso lascia inaspettatamente la parola a Paolo Marcucci, fratello di Andrea il cui intervento non era previsto dai lavori. Marcucci dice che in questo periodo “l’azienda ha fornito gratuitamente i kit necessari per l’inattivazione virale del plasma” accompagnando “tutte le sperimentazioni in corso sul plasma iperimmune” a partire proprio dal San Matteo di Pavia al progetto Tsunami. Poi l’ad di Kedrion spiega la cosiddetta Fase 1 della terapia: “Gli esiti della sperimentazione si annunciano promettenti – dice – e le Regioni stanno avviando campagne di arruolamento per avere scorte di plasma”.
Poi, ed è qui che arriva il colpo a sorpresa, Marcucci descrive la seconda fase che, con l’assenso dell’Aifa, potrebbe far capo alla sua azienda, ovvero quella della produzione industriale: “Mettiamo a disposizione il nostro stabilimento di Sant’Antimo a Napoli – continua il fratello del senatore dem – raccogliere il plasma dei donatori italiani e in conto lavorazione restituirlo standardizzato a titolo di anticorpi”. Secondo Marcucci al momento questo processo potrebbe portare alla produzione di plasma per quattro anni “così da evitare di eseguire l’inattivazione virale nei singoli centri: un processo artigianale, costoso e ancora in fase di sperimentazione”. De Donno in realtà da settimane sostiene che la terapia non sia per niente costosa, come sostenuto anche dal virologo Roberto Burioni: “82 euro a sacca, se questo vi sembra troppo per salvare una vita umana…”, va dicendo lo penumologo mantovano. L’idea di Marcucci, comunque, è che “dopo aver lavorato con Regione Lombardia, Veneto, Toscana e Campania, l’auspicio è che il progetto possa diventare nazionale”.
Ma l’ad di Kerion non si ferma alla Fase 2 e individua anche un processo successivo che si concluderà con un prodotto industriale entro sei mesi: grazie alla partnership siglata ad aprile con l’azienda israeliana di biotecnologie Kamada, sarà possibile isolare le gammaglobuline. Le prime consegne potrebbero partire addirittura in ottobre. Contattata da Ilfatto.it, la Kedrion spa ha confermato il progetto: “Kedrion da tempo produce a Sant’Antimo plasma inattivato di grado farmaceutico, un prodotto utile e che può essere conservato a lungo – fanno sapere dall’azienda – e, come crediamo, il plasma iperimmune da pazienti convalescenti Covid sarà uno strumento terapeutico efficace, Kedrion è in grado di inattivare industrialmente anche questo tipo di plasma”.
Dall’azienda di Barga, nel Lucchese, spiegano anche che il plasma iperimmune proverrà dai centri di raccolta all’ estero e anche di quello del sistema trasfusionale di proprietà delle Regioni: il tutto ovviamente previa autorizzazione del Sistema sanitario nazionale. “La produzione di plasma inattivato iperimmune italiano avverrà, se le autorità decideranno di utilizzare questo servizio, attraverso un servizio conto lavorazione e il plasma resterà di proprietà pubblica”, ha concluso un portavoce dell’azienda.
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