I nostri figli disabili sono stati dimenticati dallo Stato. I nostri bambini che regrediscono ogni giorno. Senza scuola, senza terapie, senza assistenza domiciliare. Gianluca, in classe, mangiava la merenda da solo, in casa, adesso, dobbiamo imboccarlo. Sembrerà nulla, un’inezia a chi non abita il pianeta della disabilità, per noi, invece, era un’enormità. Cosa pensate che possa apprendere mio figlio dalla didattica a distanza?”. Gianluca è un ragazzino veneto di 11 anni, affetto da una rara e grave malattia genetica. La madre ha raccontato a La Repubblica quel che è accaduto a suo figlio in questi mesi di didattica a distanza. La fine di un percorso. Il filo, già esile, che si è spezzato.

“Gianluca non parla, non cammina, ma sente e sorride, andava a scuola dalle nove alle sedici, faceva equitazione, aveva i suoi amici. Adesso il nulla. Non guarda neppure la Tv. Quello che chiedo al Miur è di trasformare le ore di lezione di Gianluca in assistenza didattica domiciliare. Fateci i testi sierologici, a noi e all’insegnante, e poi, per favore, lasciate che la scuola entri in casa nostra”. La madre di Gianluca non è la sola, sfortunatamente. Insieme a lei ci sono i genitori dei circa 260mila ragazze e ragazzi con disabilità varie che frequentano le scuole italiane.

Per questo motivo nei giorni scorsi molti genitori, tra i quali quelli aderenti ai Gruppi Facebook “Non c’è PEI senza condivisione” e “Sostegno: normativa per l’inclusione” hanno deciso di scrivere alla ministra Lucia Azzolina. Che il 28 aprile aveva indirizzato “Ai Dirigenti scolastici, a tutti i docenti della scuola italiana, a tutto il personale scolastico, agli studenti e alle studentesse, alle famiglie” una lettera sostenendo, tra l’altro, che “tutto il governo ha lavorato e lavora perché nessuno resti indietro o si senta escluso”, aggiungendo che “già una norma di legge, recentemente varata tra i provvedimenti emergenziali, prevede che si possano coinvolgere gli assistenti educatori e alla comunicazione nel lavoro quotidiano di garanzia della didattica a distanza, in raccordo con gli enti locali”. Spiegava infine che tale “collaborazione potrà avvenire attraverso sistemi di condivisione delle piattaforme digitali in uso tra i docenti”.

Il problema è che non è propriamente così. Di certo non come sostiene la ministra. Perché i ragazzi con disabilità sono rimasti indietro. Peggio ancora, nella sostanza sono stati discriminati: a loro sono state imposte, seppure con i correttivi assicurati dai docenti di sostegno, le medesime modalità di Dad adottate per i cosiddetti normodotati. Dal Miur non si è stati in grado di offrire il sostegno necessario e molti dirigenti scolastici hanno recepito le indicazioni che gli arrivavano senza adeguarle al particolare contesto.

C’è poi la questione degli assistenti educatori, alla quale si è posto mano con colpevole ritardo per deficienze delle diverse Regioni cosicché alunni e famiglie sono stati privati di un possibile ausilio per diverse settimane. Poi, quando quelle figure sono tornate nelle disponibilità delle scuole, i dirigenti hanno provveduto ad assegnarli agli alunni. Peccato che anche in questo caso non si sia potuto derogare dal virtuale con il risultato che il sostegno che gli assistenti educatori avrebbero potuto fornire agli alunni e alle loro famiglie è finito per ridursi a ben poco. Altri collegamenti sulla piattaforma scelta dalla scuola, ma nulla di concreto.

I ragazzi disabili stanno faticosamente raggiungendo la fine dell’anno scolastico. Ci arrivano nella maniera peggiore. Come suggeriscono le voci di tanti genitori, non solo quella della madre di Gianluca, come documentano i risultati del Questionario Dad e inclusione scolastica alunni/e con disabilità, realizzato dal 7/4 al 15/04/2020 dall’Università di Bolzano, l’Università Lumsa, l’Università di Trento e Fondazione Agnelli. Un’indagine online, costituita da 3170 questionari realizzati in tutte le scuole, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado, su tutte le Regioni e rivolta ai docenti con l’obiettivo di far emergere le difficoltà incontrate dagli allievi con disabilità a lavorare in modalità di Dad. L’84% dei rispondenti è insegnante di sostegno: questo la dice lunga su quanto gli insegnanti curricolari si sentano ‘tirati in causa’ dall’inclusione”, dice Dario Ianes, Professore di Pedagogia e Didattica Speciale all’Università di Bolzano e co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento.

Un alunno con disabilità su tre è di fatto escluso dalla didattica a distanza perché si è rivelata inefficace (26,2%) o perché non era nemmeno ipotizzabile (10,3%). In un buon 20% di classi non vengono messi a disposizione materiali digitali utilizzabili direttamente o con adattamenti dagli alunni/e con disabilità. Quando lo si fa, è l’insegnante di sostegno a farsi carico dell’adattamento (92% dei casi), mentre solo in un caso su 4 l’insegnante curricolare predispone materiali inclusivi. Più della metà dei docenti è dell’idea che i propri alunni con disabilità stiano peggiorando in termini comportamentali (51%), ma soprattutto di autonomia, apprendimento e comunicazione (62%).

Ecco i numeri del disastro. Innescato dalla pandemia, ma accresciuto da una colpevole disattenzione. Un disastro, del quale qualcuno dovrà pur rispondere, prima o poi. Altrimenti sarà confermato quel che in molti pensano che della scuola e dei disabili si può anche parlare – anche a sproposito – ma senza che diventino temi realmente centrali nella discussione politica.

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