C’è chi lavora in partnership con lo “Jenner Institute” della Oxford University – “che sono avanti” – alla produzione del vaccino anti Covid-19, come la Advent Srl, che fa capo alla Irbm Spa di Pomezia. E chi, nella vicina Castel Romano, collabora con l’Istituto Spallanzani, inseguendo lo stesso obiettivo, dopo essere partiti “dall’isolamento dell’adenovirus di gorilla”, come la biotech ReiThera Srl. Ma non solo. Perché nella corsa italiana al vaccino contro il coronavirus c’è anche Takis Srl, che da anni lavora nel campo della vaccinazione genetica antitumorale e che adesso, iniettando “direttamente il Dna plasmidico della proteina Spike nel muscolo”, tenta l’impresa. Tutto a pochi chilometri di distanza. Alle porte di Roma, in un’area nota per outlet commerciali e lunapark, scienziati di tre aziende lavorano in quella che sembra una sorta di “anti Covid Valley” italiana. Il Fattoquotidiano.it è entrato con le telecamere all’interno di questi laboratori.
“Iniziamo la produzione. Entro la fine di maggio concluderemo il primo lotto”, dice Stefano Colloca, responsabile dello sviluppo tecnologico di ReiThera. Poi, sarà il centro di ricerca dell’Istituto ‘Lazzaro Spallanzani’ di Roma a “cominciare la sperimentazione sui primi 40-50 volontari italiani”, chiarisce Antonella Folgori, Ceo di ReiThera. L’obiettivo? “Si studierà l’efficacia e l’assenza di effetti collaterali. Se il vaccino si dimostrerà sicuro e immunogenico, potremo andare avanti nella fase 2”, spiegano dalla biotech romana. Ottimisti sono anche i vicini di casa della Takis. Se tutto andrà bene e i primi test dimostreranno l’efficacia, “sarà l’Istituto Pascale di Napoli, in autunno, ad avviare la sperimentazione su volontari sani, grazie alla collaborazione con il professor Paolo Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma”, chiarisce Emanuele Marra, direttore dell’Area Malattie Infettive.
Costi, disponibilità delle dosi e modalità di distribuzione, nel caso il vaccino si dimostrasse efficace e pronto su larga scala, non sono ancora chiari. “Troppo presto per fare valutazioni”, chiariscono le diverse aziende. Al lavoro per raggiungere accordi e contratti con le case farmaceutiche. Quel che è certo, spiegano, è che la ricerca deve andare avanti, al di là della regressione eventuale del contagio: “Spero che questa situazione abbia fatto capire che la ricerca deve essere considerata un bene comune”, sottolinea Marra. Da ReiThera però ammettono: “Ci aspettiamo aiuti dalle istituzioni. Le aziende private non possono lavorare sempre a rischio, devono coprire costi altissimi e avere un rientro. Il rischio, altrimenti, è che tutto si fermi, nel caso in cui la diffusione del coronavirus si arrestasse”.