Venerdì 22 alle 21,20 sulla reta ammiraglia Rai in onda il film dedicato alla madre del militante di Democrazia proletaria, ucciso da Cosa nostra. Il fratello: "Voglio dimostrare che quando agli italiani si propone un prodotto valido, in prima serata, c’è una buona risposta”
“E’ una sfida culturale. Voglio dimostrare che quando agli italiani si propone un prodotto valido, in prima serata, c’è una buona risposta”. Giovanni Impastato, fratello di Peppino, il militante di Democrazia proletaria ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978 a Cinisi, è a dir poco felice: venerdì 22 alle 21,20 su Rai1 verrà messo in onda “Felicia Impastato”, il film dedicato a sua madre diretto dal regista Francesco Albano.
Quando quattro anni fa venne trasmesso per la prima volta conquistò otto milioni di italiani. Ora la Rai, che l’ha coprodotto con Matteo Levi, ci riprova alla vigilia dell’anniversario della strage di Capaci. “Non è vero che la gente – dice Impastato – vuole guardare solo i reality show. C’è tantissimo bisogno di elevare culturalmente questo Paese e allo stesso tempo abbiamo la necessità di fare cultura antimafia in un momento difficile come questo”.
Il fratello di Peppino è convinto che sia necessario alzare la testa: “C’è stata un’attenuazione della cultura antimafia. C’è stata un’ inversione di tendenza: si parla sempre meno di mafia, qualcuno crede che sia stata sconfitta perché non c’è più violenza. Ma è ora che dobbiamo alzare l’attenzione altrimenti le battaglie di civiltà che abbiamo vinto, sia a livello giudiziario sia a livello sociale, non varranno nulla. In questi anni sono cambiate molte cose, dobbiamo difendere ciò che abbiamo ottenuto”.
La fiction, con Lunetta Savino nei panni di Felicia, si racconta anche il lato umano della donna, moglie di un mafioso e madre di un nemico di Cosa nostra. “Nel film – continua Giovanni – si evidenzia la solitudine di mia madre ma allo stesso tempo il suo coraggio. Felicia è stata un esempio di svolta della coscienza: lei era la moglie di un mafioso ma allo stesso tempo la mamma di un militante che combatteva la mafia. In questa situazione difficile, questa donna, cattolica, che credeva molto nei valori della famiglia, scelse di rispettare il marito ma quando fu costretta a fare una scelta non si schierò dalla parte della mafia ma da quella del figlio, della giustizia, della legalità”.
Chi ha conosciuto la mamma di Peppino, non la dimentica. Quella donna minuta, vestita di nero con i capelli canuti, dopo la morte del figlio non si è chiusa in casa ma ha aperto la sua abitazione ai più giovani, agli studenti. Sul tavolino del salotto aveva un quaderno dove raccoglieva tutti i loro messaggi. A Cinisi in quegli anni (e ancora oggi) arrivarono migliaia di studenti e ogni 9 maggio Felicia ricordava suo figlio travolta dall’affetto di tante persone. Indimenticabile il suo sorriso in quelle occasioni in cui s’affacciava alla porta di casa per abbracciare tutti. E a ciascuno affidava parole, pronunciate in siciliano, ma comprensibili: “Ai ragazzi mia madre diceva sempre di studiare. Lei, usando una frase di Leonardo Sciascia, era solita dire ai ragazzi che una storia che non si racconta non esiste. La mafia non si sconfigge con la pistola ma con la cultura. Felicia ammoniva i giovani dicendo loro di non dipendere da nessuno e mantenere la schiena dritta”.
Oggi il fratello di Peppino è ottimista e guardandosi indietro ricorda la carovana antimafia, le iniziative fatte a Cinisi, l’amicizia di Felicia con Rita Borsellino: “Onestamente non possiamo dire che siamo stati abbandonati dallo Stato ma molte cose devono cambiare all’interno delle istituzioni. Parliamoci chiaro: i sistemi di corruzione devono finire; la burocrazia che non fa altro che favorire la mafia, deve finire. Si sono fatti passi avanti ma ci sono ancora i depistaggi. I depistatori delle indagini su Peppino l’hanno fatta tutti franca grazie alla prescrizione. La mafia è dentro lo Stato e allo stesso tempo è contro una parte dello Stato: non a caso ha ucciso Giovanni Falcone, Paolo Borsellino”.