Le nuove normative imposte dalla Repubblica popolare sanzionano ogni tipo di "eversione, terrorismo, interferenze straniere": saranno messe in votazione già a fine mese. La prima conseguenza è che saranno inasprite le pene per chi scenderà in piazza. E lo scontro si è già trasferito sul piano diplomatico sull'asse Pechino-Washington
Una nuova legge sulla sicurezza contro secessione, eversione, terrorismo, interferenze straniere. Ma che per Hong Kong potrebbe tradursi con una stretta sulla libertà di espressione e di manifestazione operata dalla Cina per frenare le spinte indipendentiste della regione. La bozza è stata depositata oggi al Congresso nazionale del popolo, verrà discussa all’Assemblea nazionale del popolo, e votata a fine mese. Una mossa di fronte alla quale ha reagito subito il presidente degli Stati Uniti Donald Trump che ha minacciato una reazione americana nel caso la legge verrà imposta. A sua volta la Cina ha sottolineato di “cercare cooperazione e dialogo” con Washington, ma risponderà se gli Usa tenteranno “di opprimerla“. Per il candidato democratico alle elezioni presidenziali, Joe Biden, però, la richiesta degli Stati Uniti di “riconsiderare la legge” è un silenzio “devastante”: “Dovremmo incitare il mondo ha condannare Pechino”.
La nuova proposta, farebbe leva sull’articolo 23 della mini-Costituzione di Hong Kong, la Basic Law in vigore dal 1997, che proibisce infatti “tradimento e sovversione” contro il governo cinese. Nel 2003 Pechino aveva già tentato di emanare l’articolo, ma venne bruscamente accantonato dopo che mezzo milione di persone scese in piazza per protestare. Immagine che ha rappresentato anche gran parte del 2019: le strade dell’ex colonia infatti dallo scorso marzo sono tornate a riempirsi, guidate dal “Movimento degli ombrelli“, prima contro il disegno di legge sull’estradizione di latitanti verso Paesi con i quali non ci sono accordi di estradizione, poi con la richiesta di una piena autonomia dallo Stato cinese. Manifestazioni che sono state sospese in questi mesi a causa dell’emergenza coronavirus.
Dopo i primi allentamenti del lockdown, la Cina si dimostra così ancora più determinata ad assumere un maggiore controllo della città. L’approvazione della legge, infatti, che verrà votata alla fine della sessione del 28 maggio, permetterebbe l’apertura a Hong Kong di un Ufficio sulla sicurezza nazionale cinese, senza l’autorizzazione del governo locale: di conseguenza, se dopo il lockdown i giovani decideranno di tornare in piazza non rischieranno solo di essere picchiati dalla polizia, ma anche pene molto più severe.
L’obiettivo è “istituire solidi sistemi giuridici e meccanismi di applicazione per salvaguardare la sicurezza nazionale nelle due regioni amministrative speciali (oltre a Hong Kong la legge varrà anche per Macao, ndr) – ha detto il premier cinese Li Keqiang – e vedere i governi delle due regioni adempiere alle loro responsabilità costituzionali”. Una mossa necessaria, ha sottolineato il primo ministro, richiesta dalla “nuova situazione”. La governatrice di Hong Kong Carrie Lam ha aggiunto che la priorità è “svolgere i compiti di mantenimento della sicurezza nazionale e garantire la prosperità e la stabilità a lungo temine di Hong Kong, nel quadro del modello ‘un Paese, due sistemi”. Non è dello stesso avviso la Borsa di Hong Kong che è crollata dall’annuncio della nuova legge: l’indice Hang Seng cede il 5,56% e termina a ridosso dei minimi intraday, a 22.930,14 punti.
Mentre il governo di Taiwan, che condivide con Hong Kong un fragile rapporto con Pechino, si è schierato dalla parte di Hong Kong, chiedendo a Pechino di evitare “grandi turbolenze”, a intervenire in difesa dell’ex colonia è stato anche il presidente americano Donald Trump che ha avvertito che gli Usa avranno una reazione molto forte se la Cina imporrà la nuova legge sulla sicurezza nazionale. La norma, poi, è stata duramente condannata anche dal segretario di Stato americano Mike Pompeo che ha rimarcato, con un post su twitter, “siamo a fianco della gente di Hong Kong” e ha sottolineato che “la decisione di aggirare il processo legislativo dell’ex colonia e ignorare la volontà della popolazione sarebbe un colpo fatale all’autonomia promessa da Pechino”.
La minaccia americana non è passata inosservata a Pechino che ha subito risposto: “La Cina è contro le interferenze straniere su Hong Kong, dato che nessun Paese consentirebbe alle forze separatiste di mettere in pericolo la sicurezza nazionale”. E il ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian ha affermato che l’ex colonia è affare interno della Cina e che “nessun Paese straniero ha il diritto di intervenire“.
Per il candidato democratico alle elezioni presidenziali, Joe Biden, però, la richiesta degli Stati Uniti di “riconsiderare la legge” è un silenzio “devastante”. Non basta, infatti, le presa di posizione espressa dal tycoon.“Non dovremmo restare in silenzio – ha detto l’ex vice presidente – Gli Stati Uniti dovrebbero chiedere e incitare il resto del mondo a condannare” la Cina su Hong Kong.