È stato presentato stamattina in diretta Facebook il XVI Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia, dal titolo “Il carcere al tempo del coronavirus”. Uno dei dati emersi è quello sul tasso di contagio in carcere, significativamente più alto rispetto a quello della società libera.
Oltre a esponenti dell’associazione, erano presenti il nuovo capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Dino Petralia, alla sua prima uscita pubblica nel nuovo ruolo, il direttore generale per l’Esecuzione Penale Esterna Lucia Castellano, il sottosegretario alla Giustizia Andrea Giorgis e il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà Mauro Palma, i quali tutti hanno portato contributi significativi alla discussione in termini di apertura prospettica e visione di sistema.
Il tasso di affollamento effettivo delle carceri italiane, come si legge nel Rapporto, era all’inizio dell’emergenza sanitaria pari a 130,4%. Poco meno di 15.000 persone erano recluse oltre i posti letto disponibili. Il 15 maggio 2020 il tasso di affollamento era sceso a 112,2%.
Le 8.551 unità in meno nella popolazione detenuta sono dovute in parte alle detenzioni domiciliari concesse – 3.282 dall’entrata in vigore del decreto Cura Italia, tendenzialmente riguardanti persone condannate per reati non gravi con meno di 18 mesi da scontare – e in parte a un forte calo nel numero degli ingressi, avendo il lockdown generale fatto diminuire reati e arresti.
I detenuti al 41-bis scarcerati sono stati 4 (alcuni hanno fatto ritorno in carcere). In tutta Italia i detenuti sottoposti a questo regime sono 747, di cui 390 con condanna definitiva e 354 in custodia cautelare.
Rimane critica la situazione di molte carceri, quali ad esempio Latina (tasso di affollamento pari a 179,2%), Taranto (187,6%) o Larino (194,7%). Anche nelle regioni maggiormente colpite dal Covid-19 troviamo istituti come Como (161,4%), Pordenone (156,8%), Vigevano (148,7%), Busto Arsizio (148,3%) o Tolmezzo (148,3%) che destano ancora grande preoccupazione.
I primi casi di contagio in carcere si sono registrati verso la metà di marzo. Attualmente sono 119 i detenuti positivi al virus, mentre si contano 162 contagi tra il personale. Se guardiamo al numero complessivo di detenuti contagiati nel corso di questi mesi, vediamo che il tasso di contagio è stato significativamente più elevato di quello esterno. Anche qui la situazione è assai disomogenea. Nella maggior parte degli istituti non si è verificato alcun contagio, mentre a Verona si sarebbero riscontrati 29 casi e a Torino 67, numeri molto alti se paragonati al resto del paese.
Nel corso del 2019 Antigone ha visitato 98 strutture penitenziarie. In sole 59 di queste è garantita la presenza di un medico 24 ore su 24. Sempre negli istituti visitati, una media del 27,6% dei detenuti risultava in terapia psichiatrica. Ma anche su questo la situazione non è omogenea: nel carcere di Spoleto risultava in terapia il 97% dei reclusi, a Lucca il 90%, a Vercelli l’86%. La presenza di psichiatri in questi istituti era garantita di media per 7,4 ore settimanali ogni 100 detenuti.
In 25 delle 98 carceri visitate abbiamo trovato celle in cui non era rispettato il criterio dei tre metri quadri per detenuto. In 45, ovvero circa la metà, c’erano celle senza acqua calda per lavarsi. In 52, ben più del 50%, si trovavano celle prive di doccia, cosa che costringe i detenuti a usare docce comuni. In 8 istituti tra quelli visitati c’erano celle con il water a vista in mezzo alla stanza anziché in un ambiente separato. In 29 istituti si è riscontrato un accesso alla luce del giorno e all’aerazione degli ambienti ridotto, se non addirittura compromesso, dalla presenza di schermature alle finestre.
La popolazione detenuta è inoltre sempre più anziana, altro elemento di preoccupazione nell’emergenza sanitaria. Alla fine del 2009 le persone detenute con più di 40 anni erano meno del 40%, alla fine del 2019 erano oltre il 50%. La percentuale di chi ha più di 60 anni è più che raddoppiata, passando dal 4,1 all’8,6%.
I dati sulle pene inflitte mostrano come esse siano parecchio più lunghe rispetto alla media europea, scardinando quel pregiudizio non basato su alcun dato che vedrebbe nell’Italia il Paese dalle pene miti. Molto incide sulla detenzione la normativa sulle droghe, in violazione della quale è in carcere il 32% dei detenuti (la media europea è del 18%). In custodia cautelare, dunque presunti innocenti, il 33% del totale dei detenuti: la media europea è di ben 10 punti percentuali inferiore.
L’identikit del detenuto tipo ci mostra la bassa scolarizzazione, lo scarso impiego lavorativo, la scarsa formazione professionale. Nel 2019 si sono tolti la vita 53 detenuti mentre nei primi mesi del 2020 sono stati 17. Il tasso è di 8,7 suicidi su 10.000 detenuti presenti, a fronte di un tasso nel paese di 0,65 suicidi su 10.000 abitanti.
Il carcere, infine, costa tanto. In questo 2020 costerà a tutti noi ben tre miliardi di euro. Nonostante l’investimento sulla rieducazione del condannato non sia purtroppo il cuore del sistema (si contano solo 774 educatori in totale, vale a dire un educatore ogni 79 detenuti) ciascun detenuto ci costa 134,5 euro al giorno (tenendo conto del numero dei detenuti a fine febbraio). Visti i tassi di recidiva, la marginalità sociale e la scarsa pericolosità di tanta gente che imprigioniamo – valga per tutti la gestione delle tossicodipendenze – non sembrerebbe un ottimo investimento.