Cultura

Lo Scaffale dei libri, la nostra rubrica settimanale: diamo i voti alle epopee familiari di Giovanni Mastrangelo, Giorgio Fontana, Gian Arturo Ferrari

di Davide Turrini

“D’improvviso gli venne un’idea. Invece di partire dalle cose e poi appenderci i pensieri, si poteva provare a partire dai pensieri e poi appenderci le cose. E alla fine mettere giù, per iscritto solo le cose, come se l’armatura dei pensieri non ci fosse”. Se vi capita di sfogliare Ragazzo italiano (Feltrinelli), primo romanzo del guru dell’editoria italiana Gian Arturo Ferrari, scoprirete che oltre alle sembianze scolpite nitide da autentico bildungroman – o, alla buona, romanzo di formazione – vengono pure disseminati e sparpagliati nel racconto una serie di consigli formali come fossero assist compositivi per la folla leggente con mire autoriali. Sostiene Ferrari. Va bene, è la storia di Ninni, anzi, la sua crescita in tre capitoli (bambino-ragazzino-ragazzo) mentre scorre il dopoguerra italiano. Il bimbetto che tartaglia, “dall’aria patita”, bisognoso di punture ricostituenti, osservatore defilato ma attentissimo di un mondo contadino lombardo-emiliano in via di sparizione (no, non la solita lagna pasoliniana) e di una nuova avventura culturale dell’emancipazione cittadina (qui Milano). Però Ragazzo italiano non è solo trametta per le allodole. Intanto è romanzo a suo modo storico, ma così maturo nel suo magmatico intarsio riflessivo/osservativo in terza persona da non necessitare dell’interpunzione/puntello esterno dei grandi e riconoscibili eventi. Poi è naturale capacità di articolare, con sobria delicatezza e sottilissima ironia sottotraccia (che meraviglia questo tono preciso ma sommesso che si tiene per tutto il libro a favore, ma mai troppo, di Ninni), il particolare al tutto e viceversa (leggere pagina 129-130 quando si passa dalla descrizione della guida di un tram ai cerchi concentrici di Milano). Infine è scrittura pastosa, rotolante in scioltezza, elegantemente pragmatica alla Roth, alla Bellow, con quel quid “italiano”, del boom carico di dettagli innovativi (la plastica, gli ascensori, gli arredamenti di Cantù, la caramelle Life Savers) che ti lasciano appiccicato a questa falsa epica, maturazione lenta e nodosa dell’individuo uomo soggetto protagonista che magicamente diventa grande mentre diventa grande un paese (una nazione, si può?). Incipit fulmine che polverizza e condensa tutta la poesia italiana del Novecento: “Andavano sgangheratamente nella notte, il bambino e la nonna, sembravano due ubriachi”. Voto (dare un voto a Gian Arturo Ferrari?): 8,5

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