Un altro colpo al 41bis. Cade il divieto assoluto di scambio di oggetti di modico valore, come generi alimentari o per l’igiene personale e della cella, per i detenuti sottoposti appartenenti allo stesso “gruppo di socialità“. Il divieto legislativo, comprensibile tra detenuti assegnati a gruppi di socialità diversi, risulta invece irragionevole se esteso in modo indiscriminato anche ai componenti del medesimo gruppo. A stabilirlo è la Corte costituzionale con la sentenza numero 97 depositata oggi, il relatore è il giudice Nicolò Zanon.

In pratica la Corte ha dichiarato incostituzionale il divieto legislativo di scambiare oggetti tra detenuti sottoposti al regime dell’articolo 41 bis dell’Ordinamento penitenziario appartenenti al medesimo “gruppo di socialità”. Sono i detenuti al carcere duro, e cioè soprattutto esponenti di spicco di Cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e Sacra corona unita. Boss di primo livello, dunque, potranno donarsi tra loro cibo o altri oggetti. Scambi normali ma che tra uomini di mafia acquisiscono un alto valore simbolico. Basti pensare all’ormai noto tentativo di scambio delle fedi tra i superboss Leoluca Bagarella e Nitto Santapaola. Il comunicato stampa della Consulta spiega comunque che l’Amministrazione penitenziaria potrà disciplinare le modalità degli scambi nonché predeterminare eventuali limitazioni in determinati e peculiari casi, che saranno eventualmente vagliate dal magistrato di sorveglianza.

Formati al massimo da quattro detenuti, i gruppi di socialità servono a conciliare due esigenze potenzialmente contrapposte: da una parte, evitare che i detenuti più pericolosi possano mantenere vivi i propri collegamenti con i membri delle organizzazioni criminali di riferimento, sia reclusi in carcere che liberi, e, dall’altra, garantire anche a questi detenuti occasioni minimali di socialità. Nei gruppi di socialità, infatti, non ci sono mai due esponenti della stessa associazione criminale.

La sentenza ricorda che gli appartenenti al medesimo gruppo di socialità trascorrono insieme alcune ore della giornata dentro il carcere e tra loro possono ovviamente comunicare, verbalmente e con gesti. Hanno così svariate occasioni di scambiare messaggi, non necessariamente ascoltati o conosciuti dalle autorità penitenziarie. Pertanto, la Corte ha rilevato che, se è ben comprensibile prevedere il divieto di comunicare e scambiare oggetti tra detenuti assegnati a gruppi di socialità diversi, risulta invece irragionevole l’estensione indiscriminata del divieto anche ai componenti del medesimo gruppo. I quali, potendo già agevolmente comunicare in varie occasioni, non hanno di regola la necessità di ricorrere a forme nascoste o criptiche di comunicazione, come lo scambio di oggetti cui sia assegnato convenzionalmente un certo significato, da trasmettere successivamente all’esterno attraverso i colloqui con i familiari.

Così, ragiona sempre la Consulta, da una parte il divieto non serve ad accrescere le esigenze di sicurezza pubblica, dall’altra, impedisce una sia pur minima modalità di socializzazione: finisce anzi per presentarsi come regola irragionevole, in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, e inutilmente afflittiva, in contrasto con l’articolo 27, terzo comma, della Costituzione. Tra l’altro, forme unidirezionali di scambio di oggetti, sempre in favore di singoli detenuti, idonee a segnalare simbolicamente la loro posizione di supremazia all’interno del gruppo, ben possono essere impedite con l’applicazione delle ordinarie regole carcerarie e condurre alla tempestiva modifica della composizione del gruppo di socialità.

Si vedrà. Intanto i mafiosi al carcere duro torneranno a donarsi e scambiarsi materiale. Per la Consulta a risultare costituzionalmente illegittimo è l’applicazione necessaria ex lege del divieto. Cioè il fatto che il divieto di scambio di oggetti sia inserito in una legge ordinaria. Anche dopo la presente sentenza, dunque, l’Amministrazione penitenziaria potrà disciplinare le modalità degli scambi tra detenuti appartenenti al medesimo gruppo nonché predeterminare le condizioni per introdurre eventuali limitazioni in determinati e peculiari casi. L’applicazione di queste limitazioni dovrà così risultare giustificata da precise esigenze, espressamente motivate, e sotto questi profili potrà essere eventualmente controllata, in relazione al caso concreto, dal magistrato di sorveglianza.

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