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“Come stare da solo quando non sei capace di farlo? Lo suggerisce l’Antartide”

Lo racconta Sindha Agha, una regista di 27 anni, in un articolo uscito sul New York Times. Sindha ha sperimentato una solitudine totale, come milioni di persone nel mondo, durante il periodo di isolamento. Una solitudine densa, diversa da quelle sbandierate con una certa fierezza "prima, quando le cose andavano bene"

Come stare da sola quando non sei capace di farlo. Lo racconta Sindha Agha, una regista di 27 anni, in un articolo uscito sul New York Times. Sindha ha sperimentato una solitudine totale, come milioni di persone nel mondo, durante il periodo di isolamento. Una solitudine densa, diversa da quelle sbandierate con una certa fierezza “prima, quando le cose andavano bene“. Quante persone abbiamo sentito dire “ah, io sto benissimo da solo”, intendendo però avere sì una casa per sé ma uscire poi con gli amici, col fidanzato, andare a trovare la famiglia. Insomma, una solitudine “fluida”, mica quella cosa che si sperimenta durante l’isolamento. “Mi sono convinta – racconta Sindha – che il senso di solitudine fosse la prova di un mio fallimento, di non essere quella donna autosufficiente che non ha bisogno di niente altro che di una stanza tutta sua“. Dai suoi momenti di solitudine, la 27enne ha tratto un breve film che è una infilata di stati d’animo nei quali in molti possono specchiarsi. “Non ci siamo evoluti per sopravvivere da soli”, ci ricorda Sindha. Per quanto poi pure “la coppia” abbia le sue belle rogne. “Come figlia di due scienziati, ho cercato conforto nei dati, esaminando articoli sulla psicologia dell’isolamento“. E così, la regista sola che da sola non sa stare, è finita in Antartide. Ha cominciato a scartabellare JSTOR (una biblioteca digitale statunitense) e si è fatta un giro nei luoghi si raccoglie il 91% del ghiaccio terrestre. Paesaggi piatti e uniformi, dominati dal bianco della neve. Buio e luce. Sandhi spiega di aver studiato come le condizioni estreme e di isolamento influenzino la vita e la psiche degli abitanti di quella parte di mondo. “Ho iniziato a coprire il pavimento della mia casa con note al neon con scritto “lascia le luci accese, l’oscurità amplifica l’isolamento”, “fissa un programma e seguilo ogni giorno”. Avevo cercato molti suggerimenti su come affrontare l’isolamento ma, con mia grande sorpresa, il massimo conforto è arrivato da rappresentazioni storica di solitudine e disorientamento“. Ora, l’Antartide non ha una popolazione in senso stretto ma nelle oltre 80 basi scientifiche vivono circa 4.000 persone nei mesi estivi che si riducono a circa 1.000 durante i mesi invernali. Quelle persone, ora e nel passato, “devono aver provato dolori non diversi dai miei – scrive la regista sul NYT – avevamo lo stesso nodo il gola”. Specchiandosi in una forma di solitudine estrema, Sindha si è sentita meno sola. È un passaggio utile? Per lei lo è stato. E forse la aiuterà a riprendere con consapevolezza anche la vita sociale. Senza eccessi, da una parte e dall’altra. Ma con l’idea che stare soli si può. Ricominciare, gradualmente, anche.