In attesa che quello sulla Nove si rafforzi, in famiglia continuiamo a considerare il telegiornale della sera su La7 la migliore delle opportunità disponibili. E il suo conduttore Enrico Mentana un fior di giornalista del piccolo schermo, con tempi televisivi e scioltezza di lingua certamente di prima scelta.
Eppure Enrico “Mitraglia” non sempre riesce a tenere a bada umori partigiani, che vengono da altre stagioni; dal tempo della Prima Repubblica rampante, con tutti i riferimenti di cultura politica e i riflessi condizionati dell’epoca. Quando ascendeva da giovanissimo alla suprema vetrina d’allora: il Tg di Rai Uno. Un golden boy predestinato, provenendo direttamente dalla vice segreteria della Fgsi, la federazione dei giovani socialisti militanti nel partito di Bettino Craxi.
Si era nel lontano 17 febbraio 1980 quando Mentana dà un formidabile balzo di carriera già in partenza, che in un colpo solo scavalcava le canoniche tappe intermedie della professione: aveva solamente 25 anni.
Poi – mentre quella Repubblica entrava in coma – ci fu il passaggio alla corte di Silvio Berlusconi, con la fondazione e la direzione – dal 1992 al 2004 – del Tg5, per poi passare a La7 nel 2010, dove celebra quotidianamente i riti dell’informazione serale. Sempre con grande scioltezza e professionalità. Magari inframezzando con qualche breve predicozzo sulla civiltà informativa democratica; quella che il decano degli anchormen Walter Lippman definiva civic journalism. Insomma, un maestro sorridente ma anche rigoroso.
Eppure talvolta antichi riflessi condizionati balzano fuori. E quando qualcuno glielo fa notare il civic journalist sorridente ma rigoroso dà immediati segni di insofferenza, mostrando il viso dell’arme.
Un’insofferenza tipica del socialista di scuola craxiana nei confronti di chi prende le distanze dalla politica politicante e dai vincoli collusivi che facevano crescere attorno a pratiche di scambio inconfessabili relazioni sottotraccia, che si sarebbero tradotte nella configurazione del mostro sfuggente che chiamiamo “Casta” (la corporazione indifferenziata, composta da quelli che campano di politica e dall’establishment affaristico che con costoro entra sistematicamente in rapporto negoziale).
A quel tempo Bettino Craxi sfidava in Parlamento i suoi critici dichiarando “siamo tutti uguali” e la sua bestia nera era un Enrico Berlinguer che, dopo il fallimento del Compromesso Storico, brandiva lo stendardo della Questione Morale.
Oggi l’antico giovane socialista manifesta palese insofferenza per le pratiche, spesso maldestre ma non colluse, dei Cinquestelle; e per la crescente leadership fuori dal coro di Giuseppe Conte. Come spiegarsi diversamente lo svarione del 10 aprile, quando Mentana si doleva di non aver oscurato il premier, che in conferenza stampa replicava al duo Salvini e Meloni, ai loro continui improperi, chiamandoli direttamente per nome. Una reazione assolutamente incomprensibile, quella del navigato anchorman, se non la si riconduce ad antiche solidarietà da ceto politico, con relative retoriche gesuitiche, che Conte non può sentire proprie.
Qualcosa di analogo si è ripetuto giovedì scorso, nella ramanzina in pubblico impartita su La7 al parlamentare pentastellato Riccardo Ricciardi reo di aver detto, sullo scandalo ormai acclarato della sanità lombarda, una verità controcorrente rispetto alla commedia dell’arte di questa stagione politica. In cui la destra sovranista vomita insulti e le gattemorte della maggioranza praticano “il sopire e troncare” facendo finta di niente. Da responsabili.
Sicché lo scandalo non sarebbe l’irresponsabilità degli sfasciacarrozze, bensì di chi indica qualche nudità (l’amministrazione lumbard) che pure viene esposta quotidianamente. Per cui Mentana chiede, severo e sornione: “ma lei, se tornasse indietro, lo rifarebbe?”. Infastidito se l’altro conferma che sì, lo rifarebbe.
Può darsi che questo governo cada, prima di tutto per consunzione indotta dall’estraneità al politicante-medio. Stia attento Mentana a non smarrire nel frattempo l’aura preziosa di maestro accattivante di civic journalism.