Un anno fa, a Genova, il giornalista di Repubblica Stefano Origone venne gravemente ferito dalle manganellate di un gruppo di poliziotti. Il cronista, forse “scambiato per un antagonista” come disse un vicequestore (sic!), stava seguendo gli scontri tra la polizia e i manifestanti che protestavano contro un presidio di Casapound. Ha raccontato di aver gridato più volte di essere un giornalista e che lo salvò un poliziotto che lo aveva riconosciuto. Ebbene sulla vicenda spero possa fare chiarezza il processo penale, sapendo bene che la ricostruzione di fatti del genere è sempre molto difficile.
Ora, è vero che questi “incidenti” devono essere valutati caso per caso, ma il pensiero è andato naturalmente ai fatti non troppo lontani del G8 di Genova, che costituiscono una macchia indelebile sulla reputazione delle forze dell’ordine. Auguriamoci di non assistere mai più a una barbarie del genere, favorita allora da un clima da “strategia della tensione” che non dovrà mai più tornare.
Quell’orribile miscela di impreparazione, scarso addestramento, inefficienze organizzative, cattivo coordinamento tra le polizie, allarmi generici e gonfiati artatamente diffusi, pulsioni fascistiche, violenze e abusi perfino premeditati sembrava ormai appartenere a un triste passato. Ma in quel luglio 2001 si ripropose in tutta la sua gravità, come una drammatica falla del sistema democratico.
Certo la questione dell’ordine pubblico andrebbe affrontata seriamente proprio da parte dei sindacati di polizia e dei nuovi sindacati militari. Bisogna promuovere il dialogo con la società civile, non la “separatezza”, non la chiusura corporativistica. Se c’è stato un abuso, esso va condannato senza ambiguità, senza farsi coinvolgere nelle strumentalizzazioni della politica politicante.
Il corretto operato della polizia costituisce un collante fondamentale della società. Perciò è utile fissare qui alcuni concetti basilari ed elementari. Lo Stato ha il monopolio della forza, non della violenza. In democrazia, la polizia non è uno strumento di terrore. In democrazia, i poliziotti nelle piazze hanno il compito di tutelare la libertà di espressione da un lato, dall’altro l’ordine e la sicurezza pubblica. I manifestanti che commettono reati devono essere arrestati e messi a disposizione della magistratura, non pestati.
Chi svolge questo delicatissimo lavoro ha il dovere di assumere un contegno superiore e di contenere l’istinto. Esiste un limite da non valicare, quello che segna il passaggio dall’uso legittimo della forza alla violenza sprovvista di legittimità. Ancora una volta ci soccorre la civiltà greca. In Omero, e ancor più in Esiodo, dike (la giustizia) è costantemente contrapposta a bia, la violenza belluina, quella dello sparviero sull’inerme usignolo.
Riguardo ai manifestanti, va detto che in democrazia esiste il sacrosanto diritto di manifestare il dissenso, ma non quello di dar sfogo agli istinti bestiali, di spaccare le vetrine o di dar fuoco alle auto. E neanche quello di insultare i poliziotti o di tirare le pietre contro i “celerini”, che sono lì a garantire le libertà costituzionali e che magari condividono la stessa indignazione di chi protesta. I mali sociali non si risolvono bastonando il carabiniere.
Parafrasando Pasolini, al carabiniere si danno i fiori. I poliziotti, i carabinieri, i finanzieri ogni giorno rischiano la vita sulla strada malgrado un trattamento economico inadeguato. I problemi non si risolvono rompendo i lampioni, anzi così si passa facilmente dalla parte del torto e si fa il gioco delle forze conservatrici. Come ci ha insegnato Aldo Masullo, anche per i manifestanti esiste un limite da non superare, oltre il quale dallo sdegno razionale per un’ingiustizia subita si passa alla rabbia fuori controllo.
Volendo dunque concludere con un suggerimento per i sindacati delle Forze di polizia, è auspicabile che la questione dell’ordine pubblico non venga più trascurata. Abbiamo un Testo unico delle leggi di pubblica di sicurezza approvato nel 1931 e quindi impregnato della cultura repressiva fascista: nel 2020 sarebbe ora di cestinarlo. Poi si deve puntare sulla preparazione, sull’addestramento: più che fare lezioni sulla lunghezza dei capelli, si facciano corsi sul valore incommensurabile della vita e della dignità della persona.
Come ha scritto Fabio Marcelli su Il Fatto Quotidiano, è di fondamentale importanza favorire la maturazione di una coscienza professionale e costituzionale negli appartenenti alle Forze dell’ordine.