Lo smartworking (SW) attuale è frutto di un’esperienza improvvisata, figlia di un’emergenza mondiale. Ritengo tuttavia che sia destinato a restare, come elemento integrato, in tutti i processi aziendali. Il tema è rilevante soprattutto per le grandi compagnie, con migliaia di dipendenti.

Diamo per assunto che entro i prossimi 5 anni le aziende di servizi adotteranno (in una quota sino al 50%) lo SW. Quando parlo di “servizi” mi riferisco a tutte quelle aziende che hanno la maggioranza dei loro dipendenti operativi di fronte a una scrivania/computer: compagnie elettriche, telefoniche, assicurative, bancarie etc..

Vi sono alcune ovvie ragioni per cui ritengo che questo tipo di aziende saranno le prime ad adottare in massa lo SW: risparmio dei costi per postazioni di lavoro in ufficio, maggior produttività-lavoro da casa, migliore rapporto vita-lavoro e vita-familiare.

Per questo ho fatto quattro chiacchiere con Giovanni Casto di Softlab. La maggioranza dei clienti di questa azienda sono grandi compagnie di servizi: assicurazioni, distribuzione di energia, organizzazioni governative etc.. per questo può offrire una visione sul futuro di questo segmento aziendale che in Italia occupa circa il 30% della forza lavoro (gli altri sono agricoltura e manufatturiero). Tre sono le voci del futuro dello SW. Sicurezza, produttività ed umanità.

“Ci siamo trovati tirati dentro lo SW quasi per sbaglio” mi spiega Casto. “Molti clienti ci hanno chiesto dei protocolli base per operare immediatamente: software antivirus, soluzioni di conference call e relativi piani di adozione immediata. Ora che l’emergenza sembra sotto controllo, siamo in grado di dialogare con i nostri clienti su una base di proiezione e pianificazione strutturata. Ritengo che il futuro dello SW deve passare per la sicurezza e protocolli condivisi. Le statistiche di cyber-crime causa SW sono in aumento.”

A pensarci è un evento logico: a casa vi sono minor attenzioni, lo stesso computer può essere usato da differenti membri della famiglia, con l’aggiunta di effettori esterni (hard disk, chiavette usb etc..). Lo scenario hacking è preoccupante e dovrà essere monitorato: un dipendente (dal manager sino all’ultimo stagista) che non “vive” in un ambiente cybernetico sicuro è, potenzialmente, un rischio per l’intera azienda. Lo sforzo, in tal senso, che dovranno fare le aziende di servizi e i loro fornitori, è immenso.

Se la sicurezza informatica è importante la produttività è vitale. Se tu dipendente non produci, non fai delivery, non chiudi i progetti, lavorare da casa è inutile. Il tema di mantenere o aumentare produttività in SW (da casa, dal parco, da un co-working etc..) è un passaggio essenziale perché questa modalità di lavoro possa divenire una soluzione percorribile, per aziende e i loro dipendenti.

Esiste una percezione e un modo di fare, purtroppo, tra molti manager “da scrivania”, che è diretto nemico dello SW. Il “potere della scrivania” è qualcosa di pericolosamente radicato nella testa di molti manager occidentali. In Italia, a mio avviso, questa sindrome di potere è ancora più manifesta, soprattutto in un range di età tra i 40 ai 60 anni.

Il fenomeno ha luogo anche tra molti imprenditori vecchio stile. Si può riassumere questo “se non ti vedo lavorare allora non lavori”. È una visione che più o meno corrisponde a un modello di operatività del 1800 (senza frustate che non van più di moda). Il mondo degli uffici non morirà mai ma la sua concezione come locus laboris è ormai passata. Resta però la necessità di monitorare, in senso benigno senza frusta, l’efficienza dei lavoratori.

“Pur dando per assunto che vi sia completa fiducia nel dipendente, comprendere come supportarlo nel suo lavoro è vitale”, continua Casto. “I dati di queste ultime settimane confermano un’accresciuta efficienza nel lavorare da casa. La vera rivoluzione è la rielaborazione del ruolo del dipendente e delle sue funzioni: considerare il dipendente come una figura che porta valore e opera su obbiettivi.

Proprio per sostenere la produttività delle nostre persone e per far sentire l’azienda vicina e attenta ai loro bisogni, in queste settimane di lockdown abbiamo organizzato diverse iniziative che rendessero più distensive le giornate da casa: un Fitness Bootcamp con personal trainer da remoto per curare mente e corpo, colloqui psicologici a distanza per sostenere le persone più fragili e tour virtuali della Capitale come momento di svago e relax”.

Ora resta il terzo aspetto del futuro SW, quello che, a molti, è mancato in queste settimane: il lato umano. Per noi italiani l’umanità, la convivialità è un aspetto fondamentale del nostro modo di vivere: dal caffè la mattina con i colleghi, il pranzo insieme, l’aperitivo post lavoro. Ad essere onesti negli ultimi anni alcune di queste abitudini si sono ridotte. Spesso la pausa pranzo diviene un momento per consumare il cibo di fronte al computer, lo stesso per la pausa caffè.

In futuro saranno gli stessi dipendenti a rimodulare la loro vita sociale. Se ragioniamo in termini di obiettivi e non tempo “passato in ufficio”, una serie di dinamiche, cristallizzate nel vivere comune, vengono meno. Consideriamo una donna che lavora e ha un figlio/a. La sua socialità, in passato, era limitata a dover scegliere se lavorare o fare la madre. Oggi potrà dedicare tempo a curare i figli, portarli ai corsi di nuoto, tennis etc. e a coltivare i suoi interessi. Il tutto alternandosi con il partner.

Una coppia di lavoratori SW potranno gestire la loro socialità di adulti e genitori e in parallelo lavorare. Pensiamo solo al tempo speso su mezzi di trasporto per raggiungere il proprio lavoro. Ovviamente non è tutto perfetto e le dinamiche di SW e la loro integrazione nella routine giornaliera dei dipendenti dovrà essere calibrata.

Sia le aziende che lo Stato dovranno investire per far evolvere questo tipo di somministrazione di lavoro. È indubbio, tuttavia, che i vantaggi in termini di risparmio di tempo, soldi e stress saranno importanti sia per le aziende che per i propri dipendenti.

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