I giochi sono ormai quasi fatti: fra tre settimane gli studenti delle quinte superiori affronteranno l’Esame di Stato short, un colloquio di un’ora davanti a una commissione nella quale l’unico a non conoscerli è il presidente. Gli altri commissari sono i loro docenti, situazione ben diversa rispetto al passato, quando metà della commissione era di esterni.
Guadagneranno da questa situazione gli studenti che provengono da classi coese e in armonia coi docenti, sia quelli bravi di loro che quelli problematici. Ci guadagneranno anche i fannulloni, quelli che in passato rischiavano di non essere ammessi all’Esame di Stato per le troppe insufficienze e che quest’anno invece l’esame lo sosterranno da ammessi ope legis. Anzi, ci hanno già guadagnato, ma questo non è scandaloso, considerato lo standard nazionale in fatto di meritocrazia.
Non ci guadagneranno gli studenti, in gamba o meno, che hanno avuto da ridire coi docenti, magari anche in questi tre mesi di scuola a distanza. Specialmente se i docenti non avranno la serenità necessaria a considerare concluse le ostilità a scuola in vista di un esame finale che oggi è ancora più rito di passaggio dei precedenti. Per fortuna succede raramente, ma capita che un insegnante cerchi la vendetta nei confronti di chi lo ha fatto penare o lo ha contestato durante l’anno. Magari il malcapitato in passato apparteneva alla categoria degli ammessi con insufficienze gravi con voto a maggioranza del Consiglio di Classe; adesso che lo è ope legis, il colloquio resta l’unica occasione per evidenziare le sue carenze, magari sottolineandole perfino oltre i suoi effettivi demeriti.
I commissari esterni sono a volte serviti a smorzare e a mitigare le situazioni scabrose che si generavano in corso d’esame, accogliendo fragilità e sciogliendo tensioni intense come quelle che a volte maturano nelle aule scolastiche (anche in quelle virtuali). Quest’anno il compito di “facilitatore” resta, se lo vorrà, del solo presidente.
Ci guadagneranno gli studenti che hanno riportato medie alte nel triennio, ultimo anno incluso: contano per 1/3 in più, assorbendo buona parte dei punti assegnati in passato alle tre prove scritte. Ci perderanno gli altri, quelli del “mi basta la sufficienza” che difficilmente potranno aspirare a un voto finale molto oltre quel limite.
Venendo al colloquio orale, ci guadagneranno parecchio coloro che sono stati abituati a costruire relazioni, documenti, studi, piccoli progetti, destreggiandosi con intelligenza fra la tentazione del copia/incolla e il tentativo dell’originalità. Se hanno lavorato a quello che viene comunemente chiamato “sviluppo del pensiero critico” c’è il caso che con il punteggio dell’orale riescano a migliorare il voto ben oltre le loro più rosee aspettative. Specialmente se confezioneranno degli elaborati che rendono inutile la forsennata ricerca delle fonti su Internet da parte di commissari e presidenti. Il plagio, oltre che una brutta pratica in auge anche fra illustri studiosi e politici, è un reato, specie se commesso durante un esame, chiamato non a caso “di Stato”.
In questi ultimi mesi di scuola sospesa, a mano a mano che prendeva corpo la consapevolezza che l’esame di Maturità sarebbe stato altra cosa dal solito, alcune organizzazioni studentesche hanno lanciato appelli e petizioni per chiedere alla ministra di cancellarlo del tutto, a favore di un super scrutinio finale nel quale si provvedesse anche ad assegnare il voto conclusivo del corso di studi.
Grande diffusione l’appello di un giovane studente che, tramite Instagram e Twitter ha anche provato a formulare una proposta appoggiata da migliaia di suoi colleghi: “Eliminato il colloquio orale, valutazione sulla base della media degli ultimi tre anni (media moltiplicata per 10) e bonus di 0-10 punti (compresa la lode) attribuito dalla commissione interna considerando percorso scolastico, miglioramenti, impegno, didattica a distanza, alternanza scuola-lavoro e partecipazione dello studente. No al ‘6 politico’”. Sembra che la ministra ne abbia tenuto conto non eliminando l’esame, ma cambiando il sistema di valutazione secondo la proposta dei ragazzi. Meglio che nulla, alla fine il voto finale potrebbe essere più alto di quello che sarebbe derivato dall’accoglimento della proposta degli studenti.
Strano paese, il nostro. L’esame, che sia la Maturità o quello di un concorso pubblico, è sempre ingiusto: siamo sicuri che lo sia di meno il non farlo proprio, almeno per provare ad accertare che nella scuola operi gente che sa leggere e scrivere correttamente in italiano, oltre a elaborare un pensiero articolato e comprensibile dagli allievi, presenti e futuri?