di Gianluigi Perrone*

“In Occidente avete troppa libertà, è per questo avete gestito male il Coronavirus”. Questa frase quantomeno bizzarra è quello che molto probabilmente si è sentito dire più di un expat occidentale in Cina in questi tempi di assestamento dall’emergenza Covid-19. Quando lo senti dire da una, due, tre persone, e non sei l’unico ad essere stato ripreso in questo modo, intuisci che l’opinione pubblica è stata imboccata a un pensiero immediatamente auto-assolutorio.

Un auto-goal completamente gratuito, considerando che, salvo l’amministrazione di Trump, il mondo è stato abbastanza clemente con il Paese di presunta origine del focolaio. Certamente il Lianghui (两会), ovvero la seduta plenaria annuale della Conferenza politica consultiva del popolo cinese, slittata da marzo a maggio a causa della pandemia, qui a Pechino non si può affrontare a cuor leggero, all’indomani del Summit di Ginevra dell’Organizzazione mondiale della Sanità, dove proprio le tensioni tra Usa e Cina sono state protagoniste.

Quello che pochi sanno è che le esternazioni della stampa e dei governi stranieri hanno il potere di influenzare e anche pesantemente la vita di un occidentale che vive in Cina, soprattutto a Pechino. È diventato un po’ insopportabile dover subire limitazioni e restrizioni “non ufficiali” per le bizze di Trump quando, di fatto, si è cittadini europei. Naturalmente parte della colpa va anche al pressapochismo con cui l’opinione pubblica affronta questi momenti di tensione.

Non si tratta di razzismo ma di diffidenza dalle radici ataviche. Chiudere tutto, dai trasporti alle spedizioni e, anche i finestrini delle auto. Attenti a tutti gli occidentali perché potrebbero essere spie desiderose di diffondere fake news. I permessi per le riprese cinematografiche (il nulla osta per le location del nostro film globale sulla pandemia, Spillover) sono duri ad arrivare, ma poi scopri che qualcuno ci è riuscito comunque.

L’autore di questo post vive a Pechino da quasi otto anni, lavorando attivamente nell’industria cinematografica. Per girare un film corale internazionale sul Covid-19 che sia accettabile in Cina è necessario lavorare di fino sulla sceneggiatura per essere conformi alle regole censorie cinesi senza sfociare nella sterile propaganda, eppure questo non basta a rompere il blocco di diffidenza che impedisce le riprese in un ospedale.

Niente di ufficialmente proibito ma questa è la Cina delle paure ingiustificate. Non sia mai che succeda qualcosa e si finisca nei guai. Questo è il lato oscuro della medaglia che preferisce la repressione cieca alla prevenzione logica.

Di tutt’altro tenore il sistema elettronico di controllo sociale della diffusione del virus. Di fatto nella Capitale si può andare in giro tranquillamente, basta indossare la mascherina, o è persino sufficiente solo avercela con sé. Dai social italiani arrivano notizie al limite delle fantasie orwelliane, soprattutto a sfavore delle povere applicazioni che hanno salvato la vita a mezza Asia e che, riveliamolo, evidentemente in Italia non sanno fare.

Infatti, sfatiamo un mito. L’applicazione non controlla dove vai ma ti colloca territorialmente rispetto alle zone rosse. Qualsiasi telefono portatile di nuova generazione, incluso quello che hai in mano mentre leggi questo articolo, è in grado di tracciare dove stai andando. La app serve per indicare il tuo stato di salute in base alla quarantena, la provenienza e l’arrivo in un’area non pericolosa. Inoltre non si è obbligati a scaricarla, ma devi scansionare un Qr code se vuoi andare in un edificio, un’area o un’attività commerciale la cui amministrazione abbia deciso di praticare questa misura di sicurezza. Altrimenti sei libero di andare altrove.

Il recente lockdown di zone al confine con la Russia è atto a prevenire l’arrivo di clandestini via terra, proprio perché per la Cina adesso la minaccia viene esclusivamente da fuori.

Discorso simile con il famigerato credito sociale. Chiedendo informazioni su di esso a colleghi cinesi ti guardano come se stessi parlando di fantascienza. Infatti l’ipotesi alla Black Mirror di cui si parla nei social occidentali altro non è che la versione elettronica di un sistema di controllo del “criminal record” (la fedina penale). Quindi nessuno viene catturato da un robot se getta una carta per terra o si mette le dita nel naso.

La Cina non ha neanche un sistema di social network così invasivo come quello di Facebook e Instagram, dove ormai si è abituati a essere schedati come archetipi in base ai proprio gusti commerciali. È vero che si può rischiare di essere denunciati per una sorta di taglia che solletica l’animo venale del cittadino cinese moderno. Proprio su questo vizio si basa il vero sistema del credito sociale: le multe. Il divario sociale che si crea è causato dal fatto che c’è chi si può permettere di infischiarsene di pagarle tanto sono irrisorie. Un fenomeno tuttavia globale.

L’opinione pubblica occidentale dovrebbe essere allertata da ben altre idiosincrasie nella società cinese che quelle inventate dagli spacciatori di pericolose fake news. Il governo cinese da diversi anni ha intrapreso un progetto di promozione tecnologica notevole che ha coinvolto anche ricercatori occidentali, tra cui chi scrive, essendo attivamente coinvolto nello sviluppo di sistemi in realtà virtuale.

Questo ha portato anche a situazione potenzialmente allarmanti. L’applicazione Zao, molto simile a Snapchat, è stata bandita perché in grado di creare deep fake (quindi di alterare qualsiasi video facendo potenzialmente dire a un leader politico quello che si vuole) per la pericolosità che potrebbe avere soprattutto sulle fasce di popolazione più ingenue.

Il sistema di sorveglianza di camere Cctv a circuito chiuso è stato dotato di nuovi livelli di riconoscimento, quali età e temperatura corporea. Anche se detta così può suonare come una intrusiva violazione della privacy, altro non è che un autovelox per pedoni. Il sistema giudiziario cinese è molto più arretrato di quello occidentale, e la popolazione potrebbe sfuggire facilmente alla legge se non fosse per due fattori: sicurezza della pena e controlli automatizzati.

In parole povere, la magistratura cinese non ci pensa nemmeno a infognarsi in anni di burocrazia, cause e appelli. Se hai commesso un’irregolarità, è tutto verificabile. Unico neo è che si rischia di essere puniti senza neanche sapere il perché, a causa dell’eccessiva discrezione con cui si muove il sistema giuridico.

Alle parole a inizio di articolo spesso viene aggiunto “presto dovrete abituarvi a seguire le regole”, che suona come la minaccia di una Cultura che ha intenzione di inglobarne un’altra. Se queste sono le intenzioni o meno non è dato saperlo, ma la maniera utile per capire cosa succede dall’altra parte del mondo è conoscere una cultura così distante scevri da pregiudizi e etnocentrismi.

Sicuramente non è necessario piegare il capo davanti a nessuno, soprattutto se si è veramente in grado di fare qualcosa, né di sposare un partner cinese per avere successo in Cina. Non è tutto rose e fiori, ma se la società cinese avrà la volontà di abbandonare l’atavica diffidenza verso lo straniero e l’attitudine imperialista del sistema lavorativo il dialogo internazionale produrrà risultati eccelsi.

*Ceo di Polyhedron Vr Studio

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Coronavirus, Bolsonaro sfila tra la folla a Brasilia (e si leva la mascherina) nonostante le restrizioni: proteste dagli oppositori

next
Articolo Successivo

Algeria. Centinaia di giornalisti e attivisti incarcerati nel silenzio del lockdown: ‘Qui il virus è la repressione. Dopo crisi torniamo in piazza’

next