Tra i settori economici già in crisi da anni, e quindi maggiormente colpiti dal lockdown, c’è quello della pesca. Solo in Liguria sono più di 150 i lavoratori stagionali della pesca all’acciuga rimasti a terra assieme alle lampare negli ultimi tre mesi. Una stagione saltata per chi lavora su pescherecci (dove il distanziamento fisico non sarebbe possibile) o fortemente ridimensionata, come nel caso dei piccoli pescatori che hanno potuto andare in mare, ma che si sono dovuti confrontare con il crollo delle vendite.

Nel solo porticciolo di Arenzano, in provincia di Genova, fino a una quindicina di anni fa erano circa dieci i pescatori che lavoravano esclusivamente con la vendita diretta del pesce: “Quando ho iniziato a pescare vedevo gli altri chiudere, per questo ho pensato di aprire un ittiturismo: al mattino consegno il pescato nel locale e mia madre lo cucina per gli ospiti che vengono a cena nel nostro locale – racconta Davide Caviglia, 32 anni, pescatore e ideatore dell’ittiturismo Öchìn de mâ – siamo solo tre soci e forse è questo che ci ha salvato”. Per Davide, che ha lanciato la sua attività nel 2014 con la società cooperativa Pescatori Arenzanesi, in questa situazione di emergenza la scelta di ‘rimanere piccoli’ ha premiato. “Se in questi anni ci fossimo allargati, con dipendenti o un’imbarcazione più grossa, oggi saremmo in ginocchio, ora sento parlare di possibili e parziali rimborsi da parte dello Stato, ma nel settore turistico siamo in troppi in Italia, e ho paura che non ci arriverà nulla. È un bagno di sangue per tutti, e vista la situazione saremmo più che soddisfatti anche solo se, a fine anno, riusciremmo ad andare in pari tra ricavi e costi di gestione”

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