Più di cento arresti dall’inizio della pandemia in Algeria. Non esistono dati ufficiali, ma il Cnld, il Comitato Nazionale per la Liberazione dei Detenuti, non ha smesso di pubblicare i nomi dei prigionieri d’opinione grazie a costanti aggiornamenti dai quattro angoli del Paese. Non sono bastate le dimissioni dell’ex presidente Abdelaziz Bouteflika a fermare la repressione dell’Hirak, il movimento di protesta nato il 22 febbraio 2019 che ha occupato le strade ogni martedì e venerdì per più di un anno. Fino al 30 marzo, l’inizio dell’emergenza sanitaria. In vent’anni al potere, l’ex presidente ha messo in piedi un vero e proprio nidham, un sistema tentacolare che ha solo cambiato testa, secondo i manifestanti. Con il neo eletto Abdelmadjid Tebboune, sostengono diversi esponenti della società civile, la situazione è addirittura peggiorata: l’emergenza coronavirus ha permesso al regime di infliggere un duro colpo al movimento. Così oggi è peggio di ieri.

Khaled Drareni, il volto della censura
Per impedire una seconda ondata di proteste post emergenza sanitaria, gli arresti di personalità influenti dell’Hirak si sono moltiplicati dall’inizio del copri fuoco nel Paese. Tra questi c’è quello di Khaled Drareni, corrispondente in Algeria per il canale francese TV5Monde e fondatore del sito indipendente Casbah Tribune. Il giornalista che ha raccontato una per una le 112 giornate di manifestazioni, molto seguito anche all’estero, è diventato un simbolo dell’oppressione della stampa algerina. Dopo esser stato convocato per un interrogatorio, Drareni è stato arrestato il 29 marzo e attende ancora il suo processo per “attentato all’unità della Nazione” e “incitazione all’assembramento”. Human Rights Watch ha ripetutamente chiesto la sua scarcerazione, accusando l’Algeria di “detenzione arbitraria”, mentre Amnesty International ha diffuso un lungo video in cui giornalisti dal mondo intero esprimono la loro solidarietà.

Reporter Senza Frontiere ha anche diffuso un comunicato sul suo caso, mentre alcuni avvocati si sono rivolti al gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria dell’Onu. Ma Drareni resta in carcere. Il 10 maggio, giorno del suo quarantesimo compleanno, colleghi e amici l’hanno ricordato diffondendo l’hashtag #HappyFreeKhaled: “Algerini e algerine del mondo intero, festeggiamo insieme il compleanno di Khaled. Rimaniamo solidali!”. Il caso di uno dei più celebri giornalisti del Paese non rappresenta però un’eccezione: i media locali subiscono sistematicamente minacce e intimidazioni, mentre numerosi siti e radio indipendenti come Radio M, Tous Sur l’Algérie o Interlignes, accusati di “diffamazione ed insulti”, sono stati resi inaccessibili. Anche il giornale satirico El-Manchar, una sorta di Lercio algerino che voleva “ridere dei potenti”, ha chiuso il 13 maggio augurando ai suoi lettori di ritrovarsi “in un Paese migliore, o forse no”.

Le autorità mirano ai social
La repressione non si limita alla stampa. Da quando per le strade non rimbomba più il canto “Algeria libera e democratica”, le autorità hanno moltiplicato i controlli online. Walid Kechida, un venticinquenne simpatizzante del movimento, dal 27 aprile è rinchiuso nel carcere di Setif, nel nord-est del paese. Anche in questo caso, si tratta di detenzione preventiva. L’amministratore della pagina Facebook Meme Hirak rischia cinque anni di prigione per aver diffuso sui suoi canali social alcuni meme satirici. Le accuse: “Oltraggio a pubblico ufficiale” e “offesa al presidente della Repubblica algerina”. Il suo caso ha dato il via a una serie di arresti legati a contenuti diffusi sui social network: sono almeno quattro i giovani finiti dietro alle sbarre nel mese di maggio per le loro pubblicazioni su Facebook, considerate come un “attentato all’interesse della Nazione”. Tra questi, Labi Tahar e Boussif Mohamed Boudiaf, già condannati a tre anni di prigione durante un processo in videoconferenza.

Mentre lo Stato algerino non impone l’isolamento “ma un coprifuoco perché la crisi non è gestita da un punto di vista sanitario ma solo securitario”, spiega a ilfattoquotidiano.it l’analista Moussab Hammoudi della Scuola di studi superiori in scienze sociali di Parigi, i manifestanti si organizzano proprio su internet. Così si moltiplicano le iniziative online a sostegno della rivoluzione. All’inizio dell’emergenza sanitaria Abdallah Benadouda, giornalista algerino esiliato negli Stati Uniti, ha fondato Radio Corona Internationale, la web radio “della fine del mondo”. Se il principale obiettivo era “ridere dell’apocalisse e ritrovarci nell’isolamento”, la radio si è trasformata nella voce dell’Hirak. “Parliamo di attualità, e in Algeria l’attualità è il virus della repressione. Allora abbiamo iniziato a raccontarla, per mantenere viva la fiamma della rivoluzione e per riflettere sugli errori commessi”, racconta Abdallah Benadouda a ilfattoquotidiano.it. Radio Corona trasmette il martedì e il venerdì, i due appuntamenti settimanali dei manifestanti prima del 30 marzo.

“La diaspora algerina è parte integrante della rivoluzione. Dal mondo intero ci attiviamo per sostenere i nostri concittadini”, spiega a ilfattoquotidiano.it Nadia Salem da Parigi. La militante membro del collettivo Free Algeria ha contribuito all’organizzazione di un concerto virtuale a sostegno dei prigionieri d’opinione in occasione della festa dell’Aid, che segna la fine del mese di Ramadan. “Un evento impossibile da organizzare in questo momento nel Paese, ma che è comunque entrato in tutte le case degli algerini”, racconta. Molti gruppi locali hanno voluto partecipare all’iniziativa registrando una canzone da casa, come la band locale Iwal, in Algeria, consapevole di correre un rischio: “Temiamo le autorità, ma questo è stato il nostro modo alternativo di protestare. Continueremo finché possiamo perché la libertà dei prigionieri d’opinione dipende dalla nostra”. Artisti, oppositori ed esponenti della società civile concordano: terminata l’emergenza coronavirus, il paese tornerà in piazza.

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