Il cappero delle Eolie? Un vero e proprio pomo della discordia che accende la rivalità tra le due isole dell’arcipelago siciliano: Lipari e Salina. Una vera e propria guerra del cappero, rinvigorita dall’ultima novità: l’Europa ha riconosciuto la Denominazione di origine protetta per il verde bocciolo eoliano. Notizia che ha fatto esultare Lipari, che ha richiesto e ottenuto il celebre acrononimo per i suoi capperi. L’esultanza è stata subito smorzata dall’annuncio del gran rifiuto delle aziende di Salina: non si fregeranno del marchio.
Una vittoria di Pirro? “Una giornata storica”, l’ha definita il 7 maggio scorso, Aldo Natoli, presidente dell’associazione Cappero delle isole Eolie Dop. Natoli d’altronde incassava una vittoria di non poco conto: quel giorno nella Gazzetta ufficiale europea veniva inserita l’iscrizione del marchio Dop per il cappero delle Eolie. Con lui esultava anche l’assessore regionale all’Agricoltura, Edy Bandiera. A Salina, invece, l’isola del cappero per eccellenza, la notizia arrivava come una coltellata alle spalle, l’ennesima peraltro. La richiesta del marchio è stata avanzata, infatti da Lipari, segnando così una seconda ferita per Salina, dopo quella rappresentata dal vino Malvasia: “Come se Catania chiedesse il marchio per il pistacchio di Bronte”, suggeriscono dall’isola che fece da setting al film Il Postino.
La Malvasia, il dolce vino eoliano, prodotto per la gran parte a Salina, porta infatti il nome di Lipari. E adesso anche il cappero, prodotto soprattutto a Salina porterà quello di tutte le Eolie: “Il nostro cappero avrà solo il marchio slowfood che da anni abbiamo conquistato”, sottolinea Maurizia De Lorenzo, presidente dell’associazione Cappero di Salina. “Tutti sanno che le Eolie si chiamano anche le Lipari, la Malvasia porta il nome di tutte le isole”, spiega Natoli. Nella denominazione di origine controllata che ottenne il vino dolce eoliano, si legge, infatti, “Malvasia delle Lipari”: nonostante sia tipico di Salina, è il nome della più grande delle isole Eolie, Lipari, che appare sul marchio. Uno “scippo” antico, visto che la Doc fu approvata nel lontano 1973. Una ferita che però torna a bruciare adesso: la richiesta partita da Lipari per la Dop ha scatenato una vera e propria guerra del cappero, giocata a suon di richieste e ricorsi, l’ultimo presentato da Salina a Bruxelles. “Ora sta capitando la stessa cosa con i capperi”, insiste De Lorenzo. Per questo la sua associazione che conta 5 aziende ha deciso che non userà il marchio Dop sui loro capperi: “Troppo generico: rifiutiamo il Dop. Il disciplinare, peraltro, inserisce procedimenti che non garantiscono l’autenticità del nostro cappero”.
Dopo la festa, a Lipari arriva la notizia del gran rifiuto dei vicini di isola: “Di certo è una grande amarezza – continua Natoli – perché non vedo come potesse essere più corretto inserire solo il nome di Salina ed escludere tutte le altre: stiamo parlando di un’opportunità, in un momento emergenziale, e un’opportunità per i nostri giovani”. E Natoli non ci sta: “Sono con noi molti produttori di Salina (tra questi anche il noto produttore Caravaglio, ndr)”, sottolinea. Il botta e risposta sullo splendido mare di fronte alle coste siciliane rischia di non fermarsi più. A Salina fanno notare: “Nei vari comunicati si legge di una produzione di 600 tonnellate: solo noi (le 5 aziende dell’associazione) ne produciamo oltre 450”.
Una vera e propria guerra interna alle Eolie su uno dei prodotti più tipici che ha avuto inizio con la richiesta nel 2016 del riconoscimento del marchio. Da subito i produttori di Salina avevano annunciato battaglia, presentando opposizione al ministero delle Politiche agricole e poi anche a Bruxelles: “Pur sapendo che una volta terminato l’iter all’interno del governo del proprio Paese non si può fare più opposizione, si sono ostinati a presentarla anche all’Europa che l’ha infatti definita irricevibile””, spiega Natoli. “Il brand vincente è quello delle Eolie – sottolinea il sindaco di Lipari, Marco Giorgianni – che sono sito Unesco principalmente per la loro attività vulcanica: non ci siamo messi a fare differenze su quale ne abbia di più o di meno, perché il marchio è quello di tutte le isole come unicum”.
Ma Giorgianni è sindaco di tutte, tranne che di Salina. La combattività (o litigiosità?) dei salinoti è riscontrabile anche nella peculiarità amministrativa dell’isola: conta tre Comuni (Santa Marina, Malfa e Leni), mentre le altre sei (Lipari, Vulcano, Alicudi, Filicudi, Panarea e Stromboli) sono tutte sotto l’egida municipale di Lipari. Salina è anche la più verde, l’unica tra le “sette sorelle” ad avere avuto un intenso sviluppo agricolo, grazie anche al territorio, mentre le altre puntavano maggiormente sulla pesca. Non a caso è l’isola dei vini e della Malvasia, che vanta produttori come Hauner, Caravaglio, e Tasca d’Almerita.
“Il cappero di Salina è superiore e merita un suo riconoscimento”, dice senza mezze misure anche Clara Rametta, sindaca di Malfa (Salina), nonché nota ristoratrice: è titolare del Signum dove in cucina regna sua figlia, Martina Caruso, premiata dalla Michelin con una stella nel 2016 e come migliore chef donna dell’anno nel 2019. E per la sindaca e ristoratrice le 5 aziende di Salina “fanno bene a rifiutare il Dop: adesso bisognerà fare una buona campagna per promuovere la bontà del cappero di Salina, bisognerà dirlo in tutte le lingue che il cappero viene coltivato qui. Peraltro nel disciplinare è perfino previsto il cappero in salamoia e questo noi non possiamo apprezzarlo”.
Salina, invece, vanta il nocellara: “Non cresce spontaneamente – spiega De Lorenzo – lo coltiviamo noi e non ci si può improvvisare coltivatori di capperi, ci vogliono cinque anni almeno prima che un cappereto inizi a dare i suoi frutti”. Maggiore rigore nella coltivazione e una varietà tipica, che da Lipari hanno fatto in modo di riconoscere: “A Roma abbiamo fatto inserire questa varietà che scientificamente non esiste, solo per farli contenti”, rivendica Natoli. “Se siamo presidio slowfood da 17 anni c’è un motivo”, ribatte De Lorenzo. Che riconosce: “Ci congratuliamo con loro, sinceramente: sono stati bravi ad ottenere la Dop e non era facile. Noi non ce l’abbiamo con nessuno, solo non ci riconosciamo in questa genericità”. E anche Rametta: “Non ha senso fare alcuna guerra”. “Le nostre porte sono sempre aperte”, ribadisce, infine, Natoli. Ma per Salina e i suoi tre comuni, la resa, la seconda dopo quella sul loro vin dolce, ha un sapore ancora troppo amaro. La guerra del cappero continua.