Il coronavirus si porta via il mondo che conoscevamo. Questo ormai è divenuto un mantra che tutti dicono e tutti ripetono. Durante la fase 1 della pandemia mi sono permesso di disturbare Voi lettori con un solo post. Non è stato casuale. Ho voluto attendere che trascorresse il tempo per avere conferma di una sensazione. Ritengo necessario proporre a Voi ciò che sospettavo stesse accadendo e che penso si stia avverando. Proviamo a pensare alla discussione sulla così detta “ripartenza”.

Le indicazioni sono quelle che conosciamo: distanziamento, mascherine, cura del corpo ed in specie sanificazione delle mani. Tutto questo per permettere alle aziende, ai bar, ai ristoranti e a ogni altra forma di esercizio commerciale di riprendere a lavorare. Dimenticavo: si è discusso molto sulla riapertura dei parrucchieri e dei centri estetici. A Voi sembra di non aver sentito discutere di qualcosa che è decisivo in ogni società? Provate a pensarci.

Io ho una risposta: in nessuna trasmissione televisiva, su nessun giornale, in nessuna trasmissione radio ho sentito parlare di giustizia. I tribunali sono chiusi da tempo. Qualcosa ha funzionato, in questi mesi, ma solamente le urgenze. Poi i tribunali hanno riaperto, ma in modo del tutto disorganico. La macchina della giustizia, che già soffriva di lentezze catastrofiche, è immersa in una palude, la decisione sul “cosa fare” è rimessa alla valutazione dei singoli magistrati i quali decidono per il meglio, senza nessuna indicazione valida per tutti.

Alcune udienze vengono rinviate; altre si svolgono con l’accesso all’aula solamente dei magistrati e degli avvocati, ma uno per volta; alcune si fanno in videoconferenza; altre addirittura per posta certificata. A questo aggiungerei che, durante la serrata, i magistrati ricevevano gli atti per posta elettronica e comunicavano i rinvii con lo stesso metodo.

Permettetemi alcune considerazioni: fino al lockdown sarebbe stato impensabile solamente immaginare un rinvio dell’udienza per email. Con la conseguenza che una pletora di individui (avvocati, testimoni, ecc.) passavano le ore in attesa di udienze (civili e penali) che servivano solamente per dare una successiva data di comparizione. Immaginatevi “gli assembramenti” (per usare un termine in voga) del tutto inutili e improduttivi. È accaduto un miracolo che ciascuno si augura che possa diventare una buona e sana abitudine. Per il resto il nulla. Più di due mesi senza elaborare alcun progetto nuovo.

Sarebbe stata l’occasione per rivedere tutta la macchina giudiziaria, anche solo immaginando che un luogo fisico chiuso e spesso angusto (come è il Palazzo di Giustizia) che funziona dalle 9,30 alle 13 circa (il pomeriggio si prolungano solo poche attività) non avrebbe mai potuto ospitare “quel mondo” che si affolla, ogni mattina, nei suoi spazi. Infatti, già adesso, a funzionamento ridotto, si formano code chilometriche che impedirebbero, in condizioni di “pieno regime”, di rispettare le tempistiche e ciò con le conseguenze che tutti possono immaginare.

Ritengo che il Ministero avrebbe potuto fare una scelta come quella adottata per le scuole e cioè profittare del periodo feriale di agosto e sospendere tutto fino a settembre. Nel frattempo si sarebbe dovuto riformare la macchina in senso moderno ed efficiente. Il Ministero avrebbe potuto prevedere che un numero rilevantissimo di udienze venissero sostituite con comunicazioni mediante posta elettronica e decidere che un ulteriore numero rilevante di cause venissero trasformate in udienze on line.

A fronte di questa “virtualizzazione” del processo si sarebbe potuto saggiamente scegliere quelle che realmente necessitano della presenza fisica in tribunale. Tutto questo con un duplice effetto positivo: sicurezza ed efficienza. Il mondo del lavoro ha inteso darsi questa svolta. La giustizia è stata lasciata nella solita trascuratezza. Ma di più: è stata solamente travolta da polemiche e scandali per la liberazione di alcuni detenuti ritenuti pericolosi, per le chat tra magistrati e per la richiesta di decisione, in Commissione, su un nuovo processo contro Salvini per i fatti dell’Ong Open Arms.

Ciò che mi ha colpito, però, è che anche queste notizie, che pure hanno creato scalpore nell’immediato, sono, di fatto, svanite all’indomani della loro deflagrazione, senza alcuna reale conseguenza concreta. La mia idea è che la pandemia abbia cancellato un quarto di secolo, quello che va dal discorso di Bettino Craxi alla Camera ai tempi di Tangentopoli, fino alla sfiducia al ministro Alfonso Bonafede (o meglio, fino al lockdown). La giustizia, tema centrale del vivere sociale italiano, è evaporato come neve al sole.

Ciò, a mio avviso, non è accaduto perché le questioni giudiziarie non esistano più ma, piuttosto, perché il mondo è veramente cambiato e la giustizia non ha saputo adeguarsi. La giustizia, come tutte le istanze sociali, deve saper parlare alla società per essere ascoltata e oggi non è più credibile chi non si sa trasformare e rinnovare. Non è più possibile immaginare di vivere come prima, senza tecnologia, efficienza e sicurezza.

La tecnologia non è la soluzione dei mali ma, correttamente indirizzata, consente questa rivoluzione, specialmente in un settore, come quello giudiziario, sempre troppo arroccato a paradigmi antistorici. La giustizia si è fatta sfuggire il patto con la contemporaneità. Credo che il mondo giudiziario stia andando incontro ad una morte annunciata per eccessivo attaccamento a stereotipi che dovrebbero essere rivisti alla luce del nuovo mondo.

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