J. e R. sono due ragazzi stranieri che vivono nel mio paese da tre anni. Il nonno di lei era un artista e veniva qui in vacanza già negli anni ’60. Impossibile non riconoscerli, hanno quei colori che nei nostri geni mediterranei difficilmente si trovano. Eppure, in tempo di Covid, c’è stato chi li ha bollati varie volte come gli usurpatori fuorilegge venuti in terra straniera per disperdere il virus.

Quando le finestre di una seconda casa, il cui proprietario è di Brescia, sono state viste aperte durante il lockdown, il vicino ha subito chiamato i carabinieri temendo un arrivo sconsiderato dell’untore. Invece, aveva solo chiesto a un amico di far prendere aria alla casa.

Qualche giorno fa un uomo stava nuotando nella baia, da solo e in assoluta osservanza dei suoi diritti (asciugarsi e andare via dalla spiaggia una volta fuori come conditio sine qua non). Neanche il tempo di risalire che qualcuno aveva già chiamato i vigili.

Questi episodi avvengono perché il paese è di per sé una cassa di risonanza, un suono più alto diventa un grido, una singola parola una frase ricamata a più versi. In città succede, ma meno platealmente, con meno immediatezza. È il bello delle città: ci si perde, si sparisce, ci si confonde. Le identità si mischiano, mentre nel paese gli avi si impastano tra loro e ogni segno contrario, opposto, genera curiosità quando non sospetto.

Durante questa pandemia quando tutti vaticinavano un mondo migliore, un cambiamento radicale nell’animo della gente, quando imperversava la retorica dell’andrà tutto bene, mi ha stupito come la paura, spesso spinta irrazionale e viscerale senza fondamenta, abbia guidato i gesti di tanta gente. Facendo compiere loro azioni spesso meschine, additando senza elementi l’altro, sebbene non si fosse certi per quale reato.

Un viso sospetto, un accento non autoctono, un passato non codificato erano sufficienti per inscenare la caccia alle streghe, che in questo caso avevano contorni lombardi. “È pieno di milanesi!”, gridava il popolino in quei giorni. Il controllore autoproclamato ricorda vagamente l’ottimista/socialista del primo Venditti e “non sbaglia mai”, per questo si erge a depositario di virtù. E se sbaglia, lo fa a sua insaputa in nome del popolo sovrano.

Quando le regioni (ma anche gli Stati europei) riapriranno i loro confini, e in una regione come la Liguria è come dare acqua a un assetato, tutto questo non potrà che infervorare gli animi.

Anziché puntare il dito sul lombardo, sull’emiliano, si farà screening su ogni colpo di tosse, sulle abitudini improvvide degli stranieri, sulle famiglie potenzialmente asintomatiche, fatalmente infette. Tutto verrà amplificato, e la campagna di odio verso l’invasore cambierà soltanto forma. Dimenticando, come si fa sia in tempo di guerra che di pace, che senza di loro saremmo morti comunque.

In altre fasi storiche, più cupe e ostili, si denunciava il vicino perché era ebreo, perché era partigiano. In Ruanda se eri Tutsi, in Cambogia se avevi un’istruzione, in Russia se eri un borghese. Oggi, mal che ti vada, chiamano i vigili, rischi una multa e non la testa. Eppure non posso non pensare che fintanto che la paura dominerà la nostra vita, la storia non insegnerà mai niente al genere umano.

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