È un disco carico di vibrazioni e di spunti assai avvincenti “Motel Rooms”, terzo album dei vicentini Mother Island, al quale la band formata da Anita Formilan (voce) Nicolò De Franceschi (chitarre) Nicola Tamiozzo (chitarre) Giacomo Totti (basso) e Nicola Bottene (batteria) ha iniziato a lavorare subito dopo esser tornata da una tournée negli Stati Uniti, durante la quale ha condiviso il palco con artisti del calibro di Mark Lanegan, Jacco Gardner e Kula Shaker.
“Non avevamo ancora registrato il disco”, racconta il chitarrista Nicolò De Franceschi, “che abbiamo avuto l’opportunità di testare le nuove canzoni in quelle realtà. La risposta del pubblico Usa è stata molto calda e infatti ci ha catapultati in studio desiderosi di confezionare il miglior prodotto possibile. Per noi è stato un po’ come aver superato la prova del nove, visto che per quel tipo di audience certe sonorità sono più che familiari.
Il processo di creazione rispetto ai nostri album precedenti è stato molto più lento per un paio di motivi: principalmente siamo stati molto impegnati nella promozione del secondo disco, ci siamo quindi focalizzati intensamente nella dimensione live; in secondo luogo abbiamo deciso di sviluppare i pezzi dando molto peso ai dettagli, agli arrangiamenti e questo ha fatto in modo che rimaneggiassimo ogni canzone a lungo prima di considerarla definitiva”.
“Motel Rooms”, composto da 10 canzoni dal sapore jangle pop, registrate all’Outside Inside Studio, subito dopo il loro ritorno dal tour che ha attraversato la West Coast statunitense, “con la California ancora nei cuori”, le chitarre surf rock richiamano quei giorni trascorsi a macinare km lungo le statali Usa, ed è in brani come We’re shining e Summer glow che è cristallizzata l’atmosfera che si respirava in viaggio, e che magicamente viene fuori premendo il tasto “play”.
“È il primo in cui ci siamo avvalsi di collaboratori esterni, in numerose tracce infatti sono presenti strumenti che non avevamo utilizzato prima per arrangiare le nostre canzoni”, prosegue De Franceschi. E infatti la band è maturata e paradossalmente grazie a un pizzico di italianità che è stato aggiunto al sound di questo nuovo disco, “del resto non abbiamo mai celato il nostro amore per la cinematografia italiana degli anni Sessanta e le atmosfere morriconiane emergono qua e là in queste tracce”.
Nei testi, scritti dalla frontwoman Anita Formilan, una che ha una voce versatile ma peculiare, moderna e antica allo stesso tempo, che è in grado di valorizzare al meglio le diverse sonorità che caratterizzano il disco, c’è effettivamente qualche ritorno tematico, pur non trattandosi di un concept album, in particolar modo un costante riferimento a un dualismo concettuale che gioca sul continuo alternarsi di concetti crepuscolari (Eyes of Shadow, Demons, Lustful lovers, We all seem to fall to Pieces Alone) e di luminosità (And We’re Shining’, Summer Glow, Till the Morning Comes), con sullo sfondo l’America, “terra di immagini, fatta di immagini, fatta per le immagini”.