Dall'11 marzo, quando è stato dichiarato lo stato d'emergenza nel Paese a causa del coronavirus, il governo di Budapest ha iniziato una guerra contro i critici che si è intensificata dopo il conferimento di poteri illimitati al premier, spiega a ilfattoquotidiano.it Dávid Vig, direttore di Amnesty International Ungheria. Ora, il leader sembra pronto a svestire i panni dell'uomo solo al comando, ma serve il via libera da parte del Parlamento (dove gode della maggioranza assoluta)
Ci sono il divieto di registrare il cambio di sesso sui propri documenti per le persone transessuali e la repressione nei confronti dei critici, anche sui social, contro i medici che denunciano le scarse protezioni dentro gli ospedali e l’opposizione, privata di parte dei finanziamenti ai partiti e delle tasse agli enti locali. Ci sono gli arresti, le perquisizioni, le multe da migliaia di euro per chi manifesta, su Internet o dall’interno della propria auto, il dissenso verso il governo. C’è questo, ma non solo, negli oltre 180 decreti che il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, ha firmato da quando l’11 marzo è stato dichiarato lo stato d’emergenza a causa della pandemia di coronavirus e, soprattutto, dopo l’ottenimento dei “pieni poteri” dal parlamento di Budapest, il 31 dello stesso mese. Come annunciato, il 26 marzo il premier ha presentato una mozione al Parlamento per rinunciare dopo due mesi ai poteri illimitati, con il voto della Camera previsto entro la fine del mese. “Ci sono stati decreti fatti passare come straordinari, nonostante non abbiano niente a che fare con la diffusione del virus – racconta a ilfattoquotidiano.it Dávid Vig, direttore di Amnesty International Ungheria – Provvedimenti pubblicati in Gazzetta Ufficiale in piena notte. Altri che sono legati all’emergenza in corso, ma con sproporzionate violazioni dei diritti umani. E, infine, leggi approvate dal Parlamento (dove Fidesz, il partito di governo, gode della maggioranza assoluta) che, dopo il 31 marzo, possono però essere modificate dal capo dell’esecutivo. Ci sono poi le sempre più numerose azioni della polizia per reprimere il dissenso. Una violazione del ‘patto’ stipulato con i cittadini proprio due mesi fa”.
Guerra all’opposizione: nel mirino partiti e amministratori locali
La giustificazione è quella di una più giusta redistribuzione delle entrate. Per i critici, invece, uno degli ultimi disegni di legge proposti dal governo toglie fondi importanti dalle casse degli amministratori locali dell’opposizione mettendoli nelle mani dei governatori di Fidesz. L’idea parte dall’individuazione di “zone economiche speciali” nelle quali dare impulso a investimenti e progetti di sviluppo infrastrutturali che, nel caso in cui siano superiori ai 14,2 milioni di euro (nel precedente decreto erano 284 milioni), verseranno le proprie tasse non alle singole municipalità, ma all’intera contea perché, sostiene il governo, questi progetti potrebbero influenzare la vita degli abitanti di un territorio più ampio delle singole città in cui nascono. “Guarda caso, però, – spiega Vig – queste ‘zone speciali’ comprendono soprattutto città e Comuni conquistati dall’opposizione alle ultime elezioni di ottobre, mentre le contee sono governate da Fidesz. Secondo molti analisti politici, si tratta di una mossa per colpire gli altri partiti”.
E non è l’unica. Con la scusa dell’emergenza Covid, uno dei decreti firmati da Orbán prevede che il 50% dei finanziamenti pubblici destinati ai partiti ungheresi venga trasferito direttamente in un fondo creato per combattere la pandemia. “Un provvedimento del genere colpisce anche e soprattutto le opposizioni – continua il direttore di Amnesty Ungheria – che hanno un accesso più limitato ad altri tipi di risorse, fondamentali per svolgere anche le campagne politiche ed elettorali”. Una visibilità di cui invece Fidesz gode grazie proprio al suo premier, al governo ormai da dieci anni.
La “legge anti fake news”: un mezzo per zittire il dissenso
Tra i provvedimenti che più hanno fatto discutere c’è la modifica al codice di procedura penale che ha introdotto il carcere fino a 5 anni per chiunque diffonda false notizie sulla pandemia. Due settimane fa sono stati forniti i numeri ufficiali: 80 procedimenti penali avviati con l’accusa di diffusione di fake news. “Alcuni casi rispecchiano le accuse – continua Vig -, ma a finire nel mirino sono state anche persone comuni che esprimevano un semplice parere sulla gestione della pandemia da parte del governo, magari sui social. Il giorno dopo la pubblicazione di un post, questi cittadini si sono visti arrivare la polizia a casa che li ha informati del procedimento a loro carico e ha perquisito l’abitazione e analizzato i pc. Qualcuno è stato anche arrestato”.
Tra questi, ad esempio, c’è il sindaco socialista di Mohács, Ferenc Csorbai, colpevole di aver pubblicato un video in cui ipotizzava un focolaio nella sua città dopo il caso di un uomo positivo che nei giorni precedenti aveva incontrato centinaia di persone. Così, il primo cittadino è finito sotto inchiesta con l’accusa di “attentato alla pubblica sicurezza” e rischia una condanna fino a tre anni di reclusione.
Alle 6 del mattino, invece, un attivista di Gyula, simpatizzante del partito Momentum, ha subito l’irruzione in casa della polizia che gli ha sequestrato cellulare e computer prima di portarlo in caserma e interrogarlo: l’accusa è quella di diffusione di false notizie per un post Facebook in cui cercava di organizzare una protesta per la gestione dell’emergenza. “C’è stato anche il caso di un giovane, legato a nessuna sigla politica, che dopo aver scritto sui social che il primo ministro era un dittatore è stato interrogato dalle forze dell’ordine. Gli hanno chiesto se quel ‘primo ministro’ fosse riferito ad Orban. In quel caso, non si sarebbe trattato di opinione personale, ma di fake news e sarebbe stato incriminato”.
Se Amnesty è a conoscenza di 80 procedimenti aperti, nessun numero è stato fornito su queste azioni compiute dalle forze dell’ordine. “Questo a causa di un altro provvedimento adottato in queste settimane – continua Vig – che ha aumentato il limite di tempo massimo entro il quale la pubblica amministrazione deve rispondere alle richieste riguardanti atti di pubblico interesse. Se fino a poco tempo fa il limite era di 15 giorni, prorogabile fino a un mese, adesso la forbice si è allargata fino a tre mesi. Per questo non abbiamo idea di quanti fermi e perquisizioni siano stati effettuati”.
A temere per la nuova stretta dell’esecutivo sulla diffusione delle notizie sono anche i giornalisti. “Ne abbiamo interpellati molti – continua il direttore – Alcuni ci hanno detto di non essere preoccupati perché si sentono protetti da una magistratura indipendente. Altri, invece, ci hanno confessato che dentro alle redazioni i caporedattori e i direttori ormai discutono sulla pubblicazione o meno di un articolo sul coronavirus per paura di finire nel mirino della polizia”.
L’occhio del governo non ha risparmiato anche i medici e gli infermieri impegnati in prima linea contro il virus. A metà marzo, la Camera dei Medici (Mok) ungherese si era lamentata perché a suo dire gli strumenti forniti ai professionisti in prima linea contro il Covid non garantivano una protezione adeguata per medici e infermieri. “Giorni dopo, il governo ha risposto negando la ricostruzione e attaccando i medici, sostenendo che si trattava di ‘un ricatto dei vertici del Mok nei confronti del governo che non ha precedenti in una situazione d’emergenza’. Contro di loro non è stata applicata la legge, ma l’esecutivo ha comunque inviato un messaggio. Non a caso, sono pochi i medici che hanno espresso il loro dissenso nei confronti del governo”.
Chi ha deciso di manifestare pacificamente e senza creare assembramenti, vietati dalle disposizioni, nel migliore dei casi è incorso in multe da centinaia o migliaia di euro. “Ad esempio – continua Vig – un gruppo di persone ha manifestato contro il governo scendendo in strada con le proprie auto, a finestrini chiusi, suonando i clacson. Una forma di protesta pacifica che è costata anche più di 2mila euro di contravvenzione. Punizione sproporzionata per chi non stava mettendo a rischio la salute pubblica”.
Pazienti non-Covid fuori dagli ospedali
Uno dei provvedimenti che ha fatto discutere è quello che ha imposto il ritorno a casa di numerosi pazienti, anche affetti da gravi patologie, ricoverati negli ospedali ungheresi per far spazio ai positivi al coronavirus. “A inizio emergenza, il ministero della Salute ha imposto che il 60% dei posti letto in ogni ospedale ungherese venisse adibito a postazione per pazienti Covid, anche quando i casi erano solo 2mila o poco più (al 26 maggio sono 3.771 con 499 vittime, ndr). Tradotto in numeri assoluti, stiamo parlando di 36mila letti da liberare. Così, sono stati mandati a casa pazienti affetti da patologie croniche e bisognosi di cure per contrastare un’emergenza sanitaria che, alla fine, non c’è stata”.
I provvedimenti extra-Covid: dalla legge contro i transessuali all’Alta Velocità Budapest-Belgrado
Orban ha sfruttato il clima di emergenza anche per promuovere leggi e portare avanti progetti già nei piani del suo governo, ma che con l’emergenza non hanno niente a che fare. Quella che ha scatenato le proteste delle organizzazioni in difesa dei diritti umani riguarda il divieto per le persone transessuali di modificare il genere sui documenti d’identità dopo il cambio di sesso. La proposta non è passata per decreto, ma con il voto favorevole del Parlamento che ha approvato un emendamento in cui si definisce il genere come “sesso biologico basato sulla nascita e sul genoma”. In altre parole, obbliga a mantenere sui documenti il genere con cui si viene registrati alla nascita, anche se nel frattempo si è assunta una nuova identità che non verrà riconosciuta giuridicamente.
Cambiamenti ci sono stati anche nelle normative riguardanti la presenza degli stranieri nel Paese. Ad esempio, nel caso in cui le autorità ungheresi, in seguito a una violazione della legge o delle disposizioni anti-Covid da parte di un cittadino straniero, anche dell’Unione europea, decidano di espellerlo dal Paese, questo non potrà fare ricorso contro la decisione e appellarsi a un giudice: “Fino a oggi, nel rispetto degli accordi europei sulla libertà di movimento tra Paesi Ue, era possibile – spiega Vig – Ma con la nuova normativa questo diritto è stato eliminato”.
Infine, i decreti governativi hanno garantito libertà di azione all’esecutivo anche per quanto riguarda le decisioni prese sullo sviluppo della nuova linea ferroviaria ad alta velocità Budapest-Belgrado, fortemente voluta da Pechino. Un’opera per la quale l’Ungheria ha contratto un debito da 1,9 miliardi di euro con la Cina e che ha provocato critiche da parte delle opposizioni: “Si tratta di un progetto costoso, controverso e, inoltre, poco sfruttato dalla popolazione – conclude il direttore di Amnesty Ungheria – Ma per evitare che tutti i particolari vengano a galla, una nuova legge prevede che i contratti e i dettagli dell’accordo tra i vari Paesi coinvolti rimangano secretati per 10 anni“.