La controversa legge che ha portato a scontri di piazza nell'ex colonia britannica è stata approvata. E gli Usa hanno deciso che l’hub non godrà più di privilegi finanziari, né di tariffe più basse rispetto alla Cina
Sedizione, separatismo, ingerenza straniera e il tradimento sono reato. In pratica, il dissenso viene criminalizzato in tutte le sue forme. Via libera del Congresso nazionale del popolo, il ramo legislativo del parlamento cinese, alla legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, che con 2.878 voti a favore, uno contrario e sei astenuti, nel giro di un paio di mesi dovrebbe entrare in vigore anche senza l’approvazione dell’ex colonia britannica. Una legge che potrebbe portare, per la prima volta, all’apertura di agenzie di sicurezza cinesi a Hong Kong, oltre al dispiegamento di personale cinese responsabile della difesa della sicurezza nazionale nell’ex colonia britannica.
La legge ha scatenato le proteste di piazza degli ultimi giorni – che hanno portato a 600 arresti – e ha portato gli Stati Uniti a revocare lo statuto speciale di Hong Kong in base alla legge americana. La decisione, presa mentre Washington accusa Pechino di calpestare l’autonomia di Hong Kong, comporterà che l’hub non godrà più di privilegi finanziari, né di tariffe più basse rispetto alla Cina. “Nessuna persona ragionevole può affermare oggi che Hong Kong mantiene un alto grado di autonomia rispetto alla Cina, considerato quello che succede sul campo”, ha detto il segretario di Stato Mike Pompeo.
Nei giorni scorsi gli Stati Uniti avevano criticato la mossa che avrebbe minacciato gli accordi di autonomia e tutela delle libertà della città in base agli accordi che portarono al passaggio di Hong Kong nel 1997 dalla sovranità britannica a quella cinese. Per questo Washington ha chiesto di convocare una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che è stata però bollata da Pechino come “senza fondamento”. “La legislazione sulla sicurezza nazionale per Hong Kong riguarda unicamente gli affari interni della Cina” e “non ha niente a che vedere con il mandato del Consiglio di Sicurezza”, ha scritto in un tweet l’ambasciatore di Pechino all’Onu, Zhang Un. Washington aveva chiesto la convocazione della riunione perché “le azioni del parlamento cinese che minano fondamentalmente l’alto grado di autonomia e le libertà che derivano dalla Dichiarazione sino-britannica del 1984 registrata dall’Onu al pari di un trattato”, aveva sottolineato la missione americana all’Onu. “Si tratta di un problema mondiale urgente che ha implicazioni per la pace e la sicurezza internazionali”, si legge ancora nella dichiarazione.