“Entro i primi di giugno, consegneremo al governo il nostro lavoro per il piano di rilancio dell’Italia da qui al 2022. Circa venti obiettivi con un centinaio di proposte concrete, perché fare piani è relativamente facile, ma ‘scaricare a terra le azioni, agire in pratica, è quello che conta davvero”. Lo sottolinea in un’intervista a Repubblica Vittorio Colao, alla guida del comitato tecnico scientifico per la ripartenza voluto da Giuseppe Conte.
“Adesso si tratta di far ripartire il Paese, trasformando il rilancio economico e sociale in un’occasione per disegnare il futuro e tenendo a mente una cosa fondamentale: i costi inevitabili e altissimi che dovremo affrontare per questa crisi possono, anzi debbono, essere trasformati in investimenti. Nel breve termine – spiega il manager – bisogna investire per ripartire e mantenere la coesione sociale; nel più lungo periodo gli investimenti devono servire a disegnare un’Italia più efficiente e migliore per le nuove generazioni, per quelli che avranno venticinque o trent’ anni a metà di questo decennio e che oggi si trovano ad affrontare una situazione particolarmente difficile”. “A loro – continua – dobbiamo passare un Paese appoggiato su pilastri solidi”.
Nel dettaglio la task force darà al Conte una serie di proposte. “Al governo daremo una sorta di menù, dal quale poi sceglieranno. Ma sarà un menù dettagliato, anche con schede degli interventi da fare a 3,6, 12 mesi. Ad esempio non si può pensare di portare sul cloud la pubblica amministrazione in poco tempo, ma si possono rapidamente effettuare interventi di semplificazione e velocizzazione dei regimi autorizzativi”. La pubblica amministrazione, continua Colao, “deve diventare un alleato dei cittadini e delle imprese e proprio con la digitalizzazione si possono eliminare molti elementi di burocrazia difensiva o oppressiva che a volte vengono giustamente lamentati”. Che cosa è la burocrazia difensiva? “Molti interventi che raccomandiamo – spiega Colao – richiedono semplificazioni di norme, non cambiamenti di policy, ma proprio semplificazioni. In Italia c’è una stratificazione di norme e complicazioni quasi geologica. Invece la rimozione delle cautele non necessarie è imprescindibile e le due cose vanno assieme. È chiaro poi che problemi come la liquidità delle imprese possono anche nascere da uno stato di salute non eccellente delle aziende prima della crisi”.
“Questo – ammette – apre proprio il tema delle imprese che vanno capitalizzate ” e su questo punto “raccomandiamo una serie di incentivi per favorire patrimonializzazione e sostegni di filiera. Il governo non deve decidere come ma deve permettere che questo rafforzamento arrivi dagli imprenditori stessi, da operazioni di fusione o da capitale privato indirizzato verso le imprese”. Quindi no allo Stato imprenditore, ma sì a uno Stato che aiuta l’imprenditore. “Ci sono forti investimenti – continua – anche privati, da sbloccare nei prossimi mesi – mesi, non anni – con grandi opportunità economiche e di occupazione nel breve periodo e con un effetto di medio-lungo termine anche sulla trasformazione e la competitività del Paese. Penso alle grandi reti digitali e alla trasformazione energetica, ma anche alla difesa dell’ambiente. Però servono modifiche a monte. È paradossale che l’Italia si lamenti del “digital divide” o della scarsità di rete a banda larga e poi ci possano essere Comuni che fanno opposizione alla realizzazione di uno specifico impianto”.