Come potrebbe mutare la strategia americana nel Mediterraneo in caso di vittoria dei Democratici alla Casa Bianca? Se l’amministrazione Trump si è caratterizzata per un sostanziale allentamento delle attenzioni sulla Libia, con posizioni spesso contraddittorie, preferendo altri quadranti come il Medio Oriente e la Cina, quale sarà invece l’indirizzo di Joe Biden in politica estera?

Punto di partenza: il risiko in stile siriano che sta andando in scena, con protagonisti Putin ed Erdogan, su cui i Democratici potrebbero decidere di inserirsi potenziando l’asse atlantico composto da Usa, Inghilterra e Nato in appoggio al governo di Tripoli.

In occasione del discorso pronunciato al Graduate Center al Cuny di New York, Joe Biden ha presentato le sue idee anche in politica estera “per riparare il danno provocato dal presidente Trump e tracciare una rotta sostanzialmente diversa per la politica estera americana per il mondo”.

Ha già detto che l’ambasciata americana in Israele rimarrebbe a Gerusalemme definendo la decisione trumpiana di spostare la base diplomatica da Tel Aviv “miope e frivola”. Pur non essendo stata apertamente menzionata la macro-area mediterranea, è di tutta evidenza come la annunciata discontinuità con l’amministrazione Trump dovrebbe riverberarsi anche su un versante complesso come la Libia (sempre ammesso che la situazione a elezioni finite non sia nuovamente e irrimediabilmente mutata).

Più recentemente Biden ha detto pubblicamente di non essere d’accordo con alcune delle politiche interventiste di Obama, in particolare in Libia, chiedendo al contempo di allentare le sanzioni iraniane, di tornare all’accordo nucleare iraniano e di ristabilire le relazioni con Cuba. Pochi giorni fa il presidente Trump ha chiamato Erdogan per chiedere una rapida de-escalation, dal momento che gli Stati Uniti vogliono evitare che la Libia diventi un’altra Siria.

Ma al di là dell’oggi, il ragionamento tarato sui Democratici va visto in prospettiva sul domani. Se l’imperativo di Biden è compiere un’inversione a U rispetto alle strategie trumpiane, allora è lecito attendersi un nuovo impegno Usa in Libia. L’asse atlantico composto da Usa, Inghilterra e Nato che appoggia il governo di Tripoli di Al-Serraj allora potrebbe vedersi rafforzato da un “uso” diverso della Turchia, che di fatto ha sostituito l’Italia nell’interlocuzione libica.

Al lavoro sul dossier esteri di Biden ci sono una serie di figure tecniche, come Antony Blinken, vicino a Biden da quasi 20 anni, sia quando il candidato dem era nel Comitato per le relazioni estere al Senato sia durante il primo mandato di Obama, quando fu anche vicesegretario di stato. La sua squadra comprende Brian McKeon, i cui legami con il candidato risalgono agli anni ’80, e analisti della sicurezza nazionale che hanno prestato servizio sotto Obama, come Julianne Smith, Colin Kahl, Ely Ratner e Jeffrey Prescott.

L’amministrazione Trump sin dal suo insediamento ha mostrato apertamente uno spiccato disinteresse per il caso libico, in virtù di anni di cosiddetto isolazionismo muscolare caratterizzato esclusivamente dalla lotta al terrorismo in altri versanti del Medio Oriente, accanto alla contrapposizione commerciale e geopolitica con la Cina. Si disse, commentando i primi passi del neoeletto Trump, che in sostanza gli Usa avrebbero proceduto ad una de-responsabilizzazione nel quadrante mediterraneo, per concentrarsi su altri obiettivi considerati prioritari.

Ma verso la fine dello scorso anno, la Casa Bianca è sembrata voler invertire quantomeno quel trend vista la complessità della situazione in Libia. Va ricordato l’incontro dello scorso 24 novembre di una delegazione Usa con il generale Khalifa Haftar, ribadendo il sostegno di Washington alla sovranità e integrità della Libia ma al contempo esprimendo le preoccupazioni a stelle e strisce per lo sfruttamento del conflitto da parte russa (ovvero milizie, risorse petrolifere, Noc, Tripoli).

Dieci giorni prima si era svolto lo Us-Libya Security Dialogue a Washington alla presenza di soggetti aderenti al Government of National Accord, in cui era stata avanzata alla Libyan National Army (Lna) la richiesta di bloccare l’offensiva su Tripoli. Tutti passaggi che non cancellarono le contraddittorie prese di posizione dell’amministrazione Trump sulla Libia.

Si tratta di pillole di rinnovato attivismo, che si legano anche alla contingenza Covid-19, in occasione della quale gli Usa forniranno 6 milioni di dollari di ulteriore assistenza umanitaria alla Libia in risposta alla pandemia. Sono denari che, nelle intenzioni, aiuteranno i funzionari sanitari a prevenire la diffusione della malattia e a rispondere ai bisognosi che hanno contratto la malattia.

Non va sottaciuto però un elemento legato alla oggettiva contingenza, più che alla effettiva strategia soggettiva: chiunque vincerà le elezioni di novembre si troverà ad affrontare una probabile recessione, con un elettorato preso da altri problemi e disinteressato a interventi militari a lungo termine. Una premessa utile a capire quale tipo di politica estera verrà costruita.

@ReteLibia

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