Il calcio italiano ce l’ha fatta. Più o meno. Il governo ha detto sì: si torna a giocare. Si sa quando: la data cerchiata in rosso sul calendario è quella del 20 giugno. Non si sa bene come: molto probabilmente ancora prima del campionato ci sarà la Coppa Italia, poi bisognerà capire se recuperare le partite del turno a metà di febbraio o partire subito con una giornata piena. Soprattutto, resta il grande ostacolo per la quarantena di squadra obbligatoria. È una ripartenza precaria, tutta da confermare. Ma intanto il pallone incassa il via libera da Palazzo Chigi, per cui ha brigato e premuto per tre mesi.

Il 20 giugno, dunque, torna la Serie A (e forse pure la Serie B, chissà la Serie C) ma il calcio ricomincerà ancora prima. Il ministro Spadafora ha auspicato che il campionato sia anticipato dalla Coppa Italia, Lega e Figc lo accontenteranno: ritorno delle semifinali (Napoli-Inter e Juventus-Milan) il 13 giugno, finale all’Olimpico il 17. Non è solo una questione di calendario ma politica: le partite di coppa sono della Rai, visibili a tutti, e questo sarebbe il compromesso rispetto alla proposta (inaccettabile per le pay-tv, su cui si era aperto l’ennesimo braccio di ferro) di trasmettere in chiaro una parte delle partite (ma il ministro tornerà alla carica anche per il campionato).

Esulta il n.1 della Figc, Gabriele Gravina, sempre in prima linea per la ripresa, su cui aveva scommesso tutto e si era anche procurato gli attacchi del presidente del Coni Malagò: “La ripartenza del calcio rappresenta un messaggio di speranza per tutto il Paese”, dice trionfante. Si accoda il presidente della Lega, Paolo Dal Pino: “Abbiamo affrontato con coerenza, determinazione e spirito di servizio un periodo straordinario, complesso e pieno di ostacoli e pressioni, lavorando sempre con un solo pensiero: il bene del calcio e la difesa del suo futuro”. Brindano i presidenti del pallone, che adesso potranno incassare i soldi dei diritti tv, l’unica vera ragione per cui il campionato va finito ad ogni costo.

Per cantare vittoria, però, forse è ancora presto. Anche ieri il comitato tecnico-scientifico ha ribadito che i calciatori non avranno corsie preferenziali, e in caso di positività l’intera squadra dovrà andare in isolamento per due settimane. “Al momento il Cts esclude che si possa allentare la quarantena, nel caso in cui un calciatore dovesse risultare positivo, cosa che chiaramente non ci auguriamo”, ha spiegato il ministro. Un’eventualità nemmeno troppo lontana, visto che giusto martedì sembrava essere stato trovato un contagio fra le fila del Bologna: il tampone ha dato esito negativo, il calcio ha tirato un sospiro di sollievo e incassato il sì del governo, ma la paura resta.

L’augurio del ministro ha il suono un po’ sinistro del cattivo presagio. A queste condizioni, basterà un solo infetto per far saltare tutto il calendario, che dovrà essere per forza a passo di marcia per concludersi entro agosto. “La Figc ci ha assicurato che se ci fosse di nuovo necessità di sospendere il campionato c’è già un piano B e un piano C”, dice Spadafora. Si tratta dei playoff per terminare la stagione in caso di intoppi, ma nessuno può escludere nemmeno un nuovo stop, stavolta definitivo, con tanto di congelamento della classifica. E a quel punto quasi sarebbe stato meglio non ripartire mai. Se tutto andrà bene, la Serie A ricomincerà il 20 giugno. Che finisca per davvero, però, è un’altra partita ancora, che inizia oggi.

Twitter: @lVendemiale

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