Protesta sotto la Regione Lombardia. Le 5mila persone, quasi tutte donne, che lavorano negli appalti scolastici di Milano e provincia sono ferme da fine febbraio e da allora solo una parte ha ricevuto l'anticipo del Fondo integrazione salariale dall'azienda in attesa che arrivassero i soldi dall'Inps. Marco Beretta, segretario generale della Filcams Cgil Milano: "In tempi normali prendono in media 500 euro e solo per nove mesi all'anno, perché in estate scatta la "sospensione" senza diritto alla disoccupazione". Maria Luisa: "Ad aprile ho preso poco più di 200 euro, solo il 18 maggio la prima tranche dell'ammortizzatore". E in autunno i sindacati temono che scattino licenziamenti collettivi
“L’ultimo stipendio lo abbiamo preso a marzo e ad aprile ci ha dato solo l’80% della quattordicesima, poco più di 200 euro. Anche alle colleghe monoreddito con tre bambini. E per i mesi di marzo e aprile il Fondo di integrazione salariale non era nemmeno cumulabile con gli assegni familiari, che aiutavano ad arrotondare lo stipendio”. Maria Luisa Rosolia lavora per Solidarietà e lavoro, una delle aziende a cui la società comunale Milano Ristorazione affida i servizi di mensa e pulizie per le 400 scuole della città. Lei e le colleghe giovedì mattina hanno protestato sotto la sede di Regione Lombardia, mentre lo stesso facevano decine di lavoratori e lavoratrici a Roma. Avevano bandiere e cartelli con l’articolo 36 della Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa“. In tempi normali guadagnano in media 500 euro al mese e il loro contratto prevede 9 mesi di lavoro e tre di “sospensione”. Tradotto: durante l’estate non si prende nulla e “non ci vengono riconosciuti nemmeno i contributi figurativi per andare in pensione a un’età decente”, aggiunge Eugenia Galli.
Le 5mila lavoratrici degli appalti scolastici di Milano e provincia sono ferme da fine febbraio e da allora solo una parte ha ricevuto l’anticipo del Fis dall’azienda in attesa che arrivassero i soldi dall’Inps: “La Multiservice, Servizi Integrati e BeB hanno anticipato il dovuto. Solidarietà e lavoro no”. Così, dopo quei primi 200 euro, più nulla fino a metà maggio quando è finalmente arrivata la prima tranche dell’ammortizzatore che spetta a chi è non è coperto dalla cassa integrazione. “Parliamo del 60% della paga base, tassata al 23%. Nel mio caso 300 euro, ma sono fortunata perché lavoro 17,5 ore a settimana: c’è chi ne fa meno”. Tante persone sono in difficoltà estrema e i sindacati, spiega Roberta Griffini della Filcams Lombardia, si stanno attivando “per far fare richiesta di reddito di emergenza, anche se si tratta di persone che lavorano e hanno diritto agli ammortizzatori”.
Ora la prospettiva è di continuare a percepire il Fis fino a giugno, visto che il decreto Rilancio ha prolungato gli ammortizzatori di cinque settimane da fruire entro fine agosto. “Poi parte la sospensione estiva non retribuita“, spiega Rosolia. “Che poi sono più di tre perché il primo stipendio intero lo prendiamo di solito a novembre. E in questa situazione di emergenza nessuna è riuscita a mettere soldi da parte per affrontare i tre mesi senza stipendio”. Le prospettive per settembre peraltro non sono migliori: “Non sappiamo se si rientra al lavoro o se la necessità di distanziamento impedirà la riapertura delle mense”. Anche Assunta De Chiara è preoccupata per la ripresa: “Io lavoro per Sodexo che da fine aprile ha anticipato il Fis: 320 euro. Ma a breve iniziano i tre mesi di sospensione e a settembre non sappiamo cosa ci aspetta”.
Il grande timore dei sindacati lo esplicita Roberta Griffini: “A settembre, finito il blocco, il rischio è che partano procedure di licenziamento collettivo“. “Si discute molto, giustamente, di ripresa della scuola in termini di didattica, perché il diritto allo studio è fondamentale”, commenta Marco Beretta, segretario generale della Filcams Cgil Milano. “Ma lo è anche il diritto al pasto”. E affrontare la situazione di lavoratrici che “con il Fis ricevono l’80% di uno stipendio che in media è di 500 euro per nove mesi all’anno. Se quei soldi non arrivano si crea un dramma sociale”. Il problema per Beretta “è che gli appalti sono considerati l‘ultima ruota del carro, non se ne parla. Ma per far funzionare un ospedale, per esempio, non servono solo medici e infermieri, servono anche gli addetti alle pulizie e alle mense. E il problema riguarda anche i lavoratori delle mense private”.
Per esempio Linda, che lavora per il gruppo che ha in appalto la mensa aziendale della Mondadori di Segrate chiusa causa Covid, racconta che solo due giorni fa ha ricevuto dall’Inps la cassa integrazione in deroga: al netto delle ritenute sono poco più di 70 euro.
Aggiornamento: La ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha fatto sapere di aver convocato per il 3 giugno una videocall con i sindacati per affrontare la questione dei lavoratori delle mense scolastiche.