Calcio

Stadio Heysel, 35 anni fa i 39 morti nella finale di Coppa Campioni tra Juve e Liverpool: storia della partita che ha cambiato il calcio

L'organizzazione indecente delle autorità di Bruxelles, le cariche degli hooligans inglesi, la partita che si giocò per evitare danni peggiori, la telecronaca asettica di Bruno Pizzul, la scoperta della tragedia dopo il triplice fischio: istantanee e ricordi di una tragedia

Sono passate da poco le 19 a Bruxelles, il 29 maggio del 1985, trentacinque anni fa: allo stadio Heysel si gioca la finale di Coppa dei Campioni. Se la contendono la Juve di Platini, Tardelli e Scirea e il Liverpool di Kenny Dalglish e Ian Rush, e degli hooligans che, loro malgrado, li accompagnano. Ma le tifoserie sono separate: una curva agli ultras della Juve, coi “bloc” M, N, O e quella opposta, X e Y agli inglesi. Tanto basta secondo l’organizzazione belga. Ma è una separazione solo teorica. Sì, perché oltre al tifo organizzato molti juventini non appartenenti ai gruppi si muovono autonomamente: in aereo a circa 400mila lire, il biglietto acquistato dai bagarini anche a 10 volte il prezzo originale, arrivando fino a 100–120mila lire fuori dallo stadio.

Tantissimi soldi, ma per una finale di Coppa Campioni, trofeo mai vinto dalla Signora fino ad allora si fa un’eccezione. Biglietti che i tifosi juventini acquistano per guardare la gara dal “bloc Z”: un settore considerato “neutrale”, opposto a quello della Juve e separato dagli inglesi solo da una rete metallica stile recinto e, ancora una volta in teoria, dalla presenza della polizia belga. Ma gli hooligans già abbondantemente ubriachi e sovreccitati notano gli italiani: a separare i settori solo 5 agenti. Alle 19 e 20, a un’ora dall’inizio della partita gli inglesi caricano: sfondano facilmente la rete metallica e per numero e forza i pochi agenti belgi non possono neppure pensare di contenerli. I tifosi juventini, semplici appassionati e non ultras non hanno la minima intenzione di contrattaccare: sono impauriti, arretrano, cercano vie di fuga.

Vorrebbero andare in campo, ma la polizia belga invece di favorirli li manganella, e dunque si ammassano contro il muro dello stadio. Qualcuno si lancia nel vuoto per paura di rimanere schiacciato, poi il peso diventa eccessivo e il muro crolla, travolgendo tutti. Qualcuno si salva raggiungendo il campo, lasciando bigliettini con nomi e numeri di telefono chiedendo ai giornalisti di chiamare i familiari: “Dite che siamo vivi, per favore”. Ma i feriti sono tanti, e ci sono sicuramente dei morti: all’Heysel arrivano 65 ambulanze e 14 squadre di medici. Il resto dello stadio comprende che è accaduto qualcosa ma la percezione esatta della tragedia arriverà solo dopo: 39 morti, 600 feriti.

“Avevamo notizie di un morto” diranno i calciatori bianconeri che quella partita non avrebbero voluto giocarla, ma furono convinti. E giocarono, per fortuna: con tutta probabilità in caso contrario il bilancio sarebbe stato peggiore. Giocarono. In un clima assurdo: davanti a un settore occupato non più da tifosi, ma dai loro oggetti, in particolare dalle loro scarpe, perse o abbandonate durante la fuga. Con Pizzul che racconterà la gara in tv “col tono più neutro, impersonale e asettico possibile”. Segnerà Platini su rigore e finirà 1 a 0 per la Juve, che vincerà la sua prima Coppa dei Campioni. Solo dopo si conoscerà la portata della tragedia: 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e 1 irlandese morti, tra questi anche un bambino di 10 anni. Fu la notte maledetta in cui il calcio cambiò per sempre, in cui le trasferte e le gare internazionali persero ogni parvenza di gita, di allegra scampagnata con sciarpe e bandiere.

Le squadre inglesi furono bandite per cinque anni dalle coppe europee, gli Stati adottarono la “Convenzione europea sulla violenza e i disordini nel calcio”, che impegna i paesi e in particolare le forze di polizia a cooperare per prevenire la violenza, a controllare rigorosamente la vendita di biglietti, a vietare la vendita di alcolici e adeguare gli stadi per garantire maggior sicurezza. In Inghilterra serviranno altri 4 anni e purtroppo un’altra strage, quella di Hillsborough, per porre fine ala violenza, con la riforma Taylor. Oggi, dopo 35 anni, il mondo ricorda quei 39 che non fecero ritorno da Bruxelles: li ricorda il Liverpool, con un “You’ll never walk alone”, li ricorda il Torino, con la foto della targa sul proprio profilo e la frase “Uniti nella preghiera e nel ricordo” e ovviamente li ricorda la Juve: “Heysel è una parola che non potremo mai dimenticare […] Passano gli anni ma quella parola continua a evocare in noi lo stesso immutato dolore”.