Provate voi a chiedere a Twitter, a Facebook, di rimuovere contenuti di odio nei vostri confronti, anche se non avete un ruolo pubblico. La risposta è sempre la stessa: la piattaforma non è obbligata a rimuovere nulla, e non rimuove nulla in effetti, perché le norme – essenzialmente statunitensi – le consentono di farlo, andando esente da responsabilità.
La piattaforma non è obbligata nemmeno a rispondervi e quando di grazia la risposta arriva – in genere sotto forma di messaggio automatico di diniego e dopo diverso tempo – viene chiarito che la piattaforma rimuoverà solo se a rivolgersi loro è una autorità amministrativa o giudiziaria riconosciuta. Il che non accade mai perché in tribunale in Italia i big della rete affermano appunto di essere soggetti ad un giudice e a una legge diversa da quella italiana.
Questo modus operandi ha tutt’ora un ruolo importante nel proteggere la libertà di espressione, qualora – come si è detto – voi siate un uomo politico, ma che può contribuire alla disgregazione della vostra personalità se non lo siete e qualcuno vuole distruggervi.
Questo accade in virtù di diverse norme. La principale delle quali è conosciuta come la “Sezione 230”. Cos’è la Sezione 230?
La Sezione 230 è contenuta all’interno del Titolo V del Telecommunications Act statunitense del 1996, e prende il nome di Communications Decency Act. La norma è stata istituita mentre Internet cresceva e si espandeva nel primo grande boom tecnologico degli anni 90. Inizialmente la disposizione è stata creata per regolare la diffusione di materiale pornografico su Internet, quest’ultima poi modificata da una legge del 2018.
La Section 230 esenta, invece, le piattaforme dalla responsabilità se uno dei loro utenti pubblica qualcosa di illegale o controverso; quindi non è in genere possibile fare causa a Twitter, a Facebook a Google groups per un tweet pubblicato da qualcun altro, ad esempio. La legge ha (più o meno direttamente) concesso alle piattaforme uno scudo normativo che ha permesso loro di non intervenire sulle richieste di cancellazione di contenuti.
Donald Trump ha deciso di intervenire su quella norma con un “executive order” – come peraltro aveva annunciato di fare anche Joe Biden, il suo competitor alle prossime Presidenziali – in quanto, a suo dire, queste regole non vengono più adottate per proteggere una nascente forma di libera espressione, ma come strumento di conservazione di un potere di non intervenire.
Un potere discrezionale che dovrebbe, invece, rimanere quando un personaggio pubblico, ivi compreso lo stesso Trump, intende far cancellare contenuti che lo riguardano o quando qualcuno con la scusa del copyright vuole far cancellare contenuti dalla rete.
Ma questa discrezionalità non può riguardare il diritto di ognuno di noi di richiedere che informazioni lesive dei propri diritti vengano cancellate, diritto che ad oggi viene negato, anche perché negli Stati Uniti non si applica il Gdpr o regolamento generale sulla protezione dei dati personali.
Per giudicare della bontà o meno delle norme annunciate da Trump, bisognerà dunque vedere come la Commissione federale per le comunicazioni (la FCC), che deve adeguare le norme, interpreterà le stesse disposizioni e quale tool per la richiesta di rimozione a beneficio “dell’uomo della strada” verrà adottato.
Da quella che sembra essere una possibile ripicca contro le big Tech, e una mossa in vista della prossima campagna elettorale, potrebbe nascere qualcosa di buono per i navigatori della rete.