L'8 maggio Rocco Santo Filippone aveva chiesto di lasciare l'appartamento di Rivoli, in provincia di Torino - dove scontava i domiciliari - per farsi ricoverare all'ospedale Santa Maria degli Ungheresi di Polistena, in Calabria. Due giorni dopo, però, il Cdm ha approvato il decreto del guardasigilli. E la procura di Reggio Calabria, grazie anche alla collaborazione del Dap, ha ottenuto il ripristino della custodia cautelare per il presunto boss della 'ndrangheta
Anche Rocco Santo Filippone torna in carcere. Coimputato di Giuseppe Graviano nel processo ‘Ndrangheta stragista, ritenuto il boss della ‘ndrangheta di Melicucco, centro della Piana di Gioia Tauro, l’uomo di 72 anni era uscito dal carcere di Torino il 10 aprile scorso grazie all’emergenza coronavirus. La patologia cardio-vascolare da cui è affetto, però, “è certamente compatibile con la detenzione in carcere”.
A scriverlo è il perito della corte d’Assise di Reggio Calabria che ha revocato gli arresti casalinghi al presunto boss della ‘ndrangheta. Il ritorno in carcere di Filippone è stato possibile grazie all’operato del Dipartimento amministrazione penitenziaria, dopo il decreto del 10 maggio scorso del guardasigilli Alfonso Bonafede, che ha attribuito al Dap il potere di iniziativa nell’indicare ai magistrati di sorveglianza soluzioni sanitarie idonee per consentire il rientro dei boss scarcerati per motivi di salute negli istituti di pena. Nel caso di Filippone è stato fondamentale la parte del decreto che consente al pubblico ministero di chiedere “al giudice il ripristino della custodia cautelare in carcere, se reputa che permangono le originarie esigenze cautelari” quando “acquisisce elementi in ordine al sopravvenuto mutamento delle condizioni che hanno giustificato la sostituzione della misura cautelare o alla disponibilità di strutture penitenziare o reparti di medicina protetta adeguate alle condizioni di salute dell’imputato”.
L’8 maggio era stato lo stesso Filippone a chiedere di lasciare l’appartamento di Rivoli, in provincia di Torino – dove scontava i domiciliari – per farsi ricoverare all’ospedale Santa Maria degli Ungheresi di Polistena, in Calabria. Due giorni dopo il Cdm aveva approvato il decreto Bonafede. Il 13 maggio, dunque, la procura di Reggio Calabria chiedeva ai giudici di nominare un perito per “attualizzare il quadro clinico” del detenuto. Quindi ecco che nella nuova perizia medica si sottolinea come le condizioni di Filippone siano compatibili col carcere. È vero, scrive il perito, che l’uomo “in relazione all’età ed alla preesistente cardiopatia” è afflitto “da una generica possibilità di morte improvvisa o accidenti vascolari”. Però è anche vero che la sua situazione non “sarebbe sensibilmente differente in libertà rispetto a quanto lo sia in carcere”.
Per quanto riguarda il rischio contagio, si legge sempre nel provvedimento della Corte d’Assise, “Filippone non è in una condizione che determina una incompatibilità con la detenzione purchè in una struttura dove sia disponibile assistenza medica e l’appoggio di un ospedale dove il paziente possa essere seguito dal punto di vista cardiologico, per il controllo del pace-maker ed eventualmente ortopedico in relazione alla presenza di ernie del disco sintomatiche”. Contrariamente a quanto succedeva nei mesi scorsi, il Dap ha risposto praticamente in tempo reale indicando per Filippone la Casa circondariale di Bari, “sede dotata di ampia offerta specialistica interna ed esterna”, utile anche per “il tasso epidemiologico più contenuto nella regione Puglia“. Dunque visto che “risultano mutate le condizioni che hanno portato alla emissione del provvedimento di sostituzione della suddetta misura con quella degli arresti domiciliari in via temporanea e non oltre il termine della emergenza sanitaria, disposta alla luce della relazione del sanitario”, i giudici hanno ordinato il ritorno in carcere per il coimputato di Graviano. Uno dei tanti tornati in cella dopo qualche settimana di domiciliari durante l’emergenza coronavirus.