Enorme impatto mediatico, grande capacità di dialogo con le altre confessioni, vicinissimo a Papa Francesco. Che però che lo ha cacciato dalla comunità che ha fondato dopo un'ispezione durata un mese. Il motivo? Quello ufficiale parla di "gravi problemi su esercizio dell'autorità"
Era stato profetizzato come primo cardinale laico dei tempi moderni. Una scelta a dir poco rivoluzionaria, che avrebbe fatto ripiombare la Chiesa cattolica indietro di diversi secoli. Ma che, nel 2017, fu ventilata come ipotesi più che fondata nel concistoro che Papa Francesco tenne il 28 giugno di quell’anno e nel quale impose cinque nuove berrette rosse. Sì, perché Enzo Bianchi non ha mai voluto intraprendere il cammino strettamente clericale con l’ordinazione sacerdotale, ma ha sempre preferito, fin dalla fine del Concilio Ecumenico Vaticano II, l’8 dicembre 1965, una strada totalmente diversa. Ovvero quella del monaco in dialogo principalmente con i credenti delle altre confessioni cristiane, in primis col mondo ortodosso. Così è nata e si è sviluppata la Comunità di Bose da lui fondata proprio come frutto del Vaticano II e che ora, dopo 55 anni di vita, rischia di essere ricordata per sempre come il luogo di uno dei principali scandali ecclesiali.
Perché seppur è vero che quella profezia di dare la porpora a Enzo Bianchi era totalmente infondata, come smentì nettamente all’epoca l’allora sostituto della Segreteria di Stato e oggi cardinale prefetto della Congregazione delle cause dei santi, Angelo Becciu, è innegabile che il fondatore della Comunità di Bose è tra i pensatori cristiani più stimati e ascoltati. E non solo tra i credenti. Un uomo con un seguito mediatico notevole e lo si sta notando proprio nel momento in cui il Vaticano, con un provvedimento di innegabile durezza, gli ha imposto di lasciare la Comunità che ha fondato. Un vero e proprio esilio deciso anche per altri tre componenti di quella realtà, molto vicini al fondatore: Goffredo Boselli, responsabile della liturgia, Lino Breda, segretario della Comunità, e Antonella Casiraghi, già sorella responsabile generale. Essi “dovranno separarsi dalla Comunità monastica di Bose e trasferirsi in altro luogo, decadendo da tutti gli incarichi attualmente detenuti”.
Si tratta di una decisione di una gravità che raramente ha avuto eguali, non solo nel pontificato di Francesco, ma nella storia recente della Chiesa cattolica. Quella cioè di imporre al fondatore di lasciare per sempre la sua creatura. Un provvedimento che nasce da una triplice condanna, cosa assai più inedita. La prima è quella della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, che ha prima effettuato una visita apostolica durata un mese, dal 6 dicembre 2019 al 6 gennaio 2020, affidata all’abate Guillermo León Arboleda Tamayo, al padre Amedeo Cencini e all’abadessa Anne-Emmanuelle Devéche. La seconda condanna è arrivata dalla Segreteria di Stato vaticana, poiché il provvedimento che esilia da Bose Enzo Bianchi e gli altre tre religiosi reca la firma del cardinale Pietro Parolin. Nel decreto, però, il primo collaboratore di Francesco precisa che esso è stato “approvato in forma specifica dal Papa”, ed è questo il terzo e ovviamente più alto livello della condanna.
Ma non è tutto. Bergoglio ha voluto che i provvedimenti fossero comunicati agli interessati da padre Amedeo Cencini, nominato delegato pontificio ad nutum Sanctae Sedis, con pieni poteri, accompagnato dall’arcivescovo José Rodriguez Carballo, segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, e monsignor Marco Arnolfo, arcivescovo metropolita di Vercelli. La decisione così dura da parte del Papa è scaturita, stando alle motivazioni ufficiali comunicate proprio da Bose, “in seguito a serie preoccupazioni pervenute da più parti alla Santa Sede che segnalavano una situazione tesa e problematica nella nostra Comunità per quanto riguarda l’esercizio dell’autorità del fondatore, la gestione del governo e il clima fraterno”. Ma è evidente che ciò che ha portato Francesco a prendere una decisione così drastica non può essere ridotto ai rapporti seppur burrascosi, per usare un eufemismo, tra Enzo Bianchi e il suo successore Luciano Manicardi. Quest’ultimo eletto nel 2017 priore di Bose, a seguito delle dimissioni del fondatore, dopo essere stato maestro dei novizi e successivamente vicepriore.
Dal canto suo, Bianchi si oppone ai provvedimenti decisi dal Papa e ciò non può che accrescere le difficoltà di una decisione che, tra l’altro, il Vaticano in un primo momento aveva cercato di tenere riservata proprio per tutelare l’immagine del fondatore di Bose. Nei sacri palazzi è ben noto il rapporto saldissimo che c’è sempre stato, fin dalla sua elezione al pontificato, tra Francesco e Bianchi. Il fondatore di Bose, almeno finora, è stato un grande sostenitore di Bergoglio e delle sue scelte. Così come non è un mistero che i due abbiano a lungo collaborato anche per la stesura di alcuni documenti importanti. I segni pubblici di stima del Papa nei confronti di Bianchi sono diversi e molto significativi. Nel 2014 lo nomina consultore del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani proprio per la sua capacità di entrare in dialogo con coloro che non fanno parte della Chiesa cattolica. Nel 2018 lo nomina uditore dell’assemblea generale del Sinodo dei vescovi sui giovani.
Dopo quell’esperienza, Bianchi scrisse parole molto eloquenti: “Ancora una volta sarà Papa Francesco a pungolarci. Abbiamo un Papa che è anche un profeta: fidiamoci!”. Sembra, però, che ora quella fiducia sia venuta meno, da ambo le parti. L’amarezza di Bianchi traspare nel comunicato che ha diffuso dopo la decisione di Francesco e anche nei tweet del suo seguitissimo profilo social. “Invano, – ha scritto il fondatore di Bose – a chi ci ha consegnato il decreto abbiamo chiesto che ci fosse permesso di conoscere le prove delle nostre mancanze e di poterci difendere da false accuse”. E ha aggiunto: “In questa situazione, per me come per tutti, molto dolorosa, chiedo che la Santa Sede ci aiuti e, se abbiamo fatto qualcosa che contrasta la comunione, ci venga detto. Da parte nostra, nel pentimento siamo disposti a chiedere e a dare misericordia. Nella sofferenza e nella prova abbiamo altresì chiesto e chiediamo che la Comunità sia aiutata in un cammino di riconciliazione”. Senza dimenticare il Papa: “Nella tristezza più profonda, sempre obbediente, nella giustizia e nella verità, alla volontà di Papa Francesco, per il quale nutro amore e devozione finale”.
Immediato è stato il dibattito mediatico che si è scatenato tra i fan e i critici di Bianchi. Dallo storico Alberto Melloni che dalle colonne di Repubblica ha ricordato che “nella prassi della Santa Sede si caccia da una casa religiosa chi si è macchiato di delitti turpi sostenuti da accuse e prove che oggi nessuno può o vuole più coprire. Enzo Bianchi viene punito con l’esilio da Bose senza alcuna accusa infamante”. Di parere decisamente opposto la storica Cristina Siccardi che ha definito il fondatore della Comunità di Bose “uno dei personaggi che ha contribuito a fare un gran male alla Chiesa, producendo tanta e tanta confusione nel clero e tra i fedeli”. Dal Vaticano finora non è stato diramato nessun comunicato ufficiale sulla questione. Solo L’Osservatore Romano ha pubblicato la notizia della defenestrazione di Bianchi limitandosi a riportare la nota diffusa da Bose. Ma è evidente che la Santa Sede non potrà restare ancora a lungo in silenzio. E non pochi scommettono che la prima mossa sarà del Papa.