Lo scontro tra bande di trafficanti di esseri umani finisce in un bagno di sangue: morti 30 migranti, 26 dei quali di nazionalità bengalese. La carneficina è avvenuta mercoledì scorso all’interno di un magazzino a Mezda, località a pochi chilometri dalla città di Gharyan, a sud di Tripoli, e oltre alle 30 vittime ci sono almeno una dozzina di feriti. Oltre alla tragedia c’è un ulteriore campanello d’allarme. Al momento della sparatoria nel magazzino erano presenti circa 200 stranieri: vittime e feriti a parte, degli altri si sono perse le tracce, spostati dalle milizie che si occupano della tratta in un altro luogo segreto. Della strage non restano che i cadaveri, il magazzino è stato svuotato e non si segnalano operazioni da parte delle autorità governative o della polizia, tanto meno indagini e arresti.
L’ennesimo episodio di violenza che resterà impunito in un Paese fuori controllo. Specie nell’area attorno a Tripoli diventata terra di nessuno, stretta e contesa negli scontri sanguinosi tra le milizie a supporto del Gna, il governo riconosciuto dalle Nazioni Unite, più direttamente da Italia e Turchia, e l’esercito di Khalifa Haftar, leader della Cirenaica. Il conflitto è in una delle fasi più acute dal settembre 2018 (epoca della prima offensiva di Haftar ad ovest) a questa parte, con l’Lna in difficoltà e in ritirata dopo essere arrivato a poco dalla conquista della capitale. In questa situazione di forte instabilità, peggiorata dalla pandemia da Covid-19, il traffico di clandestini in Libia resta al centro delle attività criminali.
La strage dell’altro giorno nei pressi di Gharyan (sede di uno dei centro di detenzione ‘ufficiale’, chiuso da mesi proprio a causa degli scontri a fuoco, così come altri nell’area attorno a Tripoli) è l’episodio più cruento con al centro i migranti dal bombardamento del centro di detenzione del Dcim a Tajoura, pochi chilometri a sud-est dell’aeroporto internazionale Mitiga di Tripoli. Quella notte, il 2 luglio corso, un’ala del compound fu colpita provocando 53 vittime.
A rendere noti i contorni dell’episodio è stato il Capo Missione dell’Oim (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni) in Libia, Federico Soda: “I corpi delle vittime si trovano all’ospedale di Mezda – ha riferito Soda -, i feriti sono stati portati in un ospedale del governo e in una clinica privata di Tripoli. Molti portano addosso i segni chiari di vecchie percosse e alcuni di essi versano in condizioni gravissime. I gruppi criminali approfittano dell’instabilità e della situazione di insicurezza del Paese per dare la caccia e approfittarsi di persone disperate e per sfruttare le loro vulnerabilità. Uomini e donne tenuti in ostaggio e venduti dietro il pagamento di riscatti da organizzazioni senza scrupoli. Questo crimine insensato ci ricorda, ancora una volta quali siano gli orrori che i migranti subiscono per mano dei trafficanti in Libia”.
La strage di Mezda è avvenuta nell’ambito del traffico parallelo, e sommerso, di esseri umani che in Tripolitania molto spesso si è mescolato con la parte ufficiale delle migrazioni. La rete di centri di detenzione gestiti dal governo di al-Sarraj ormai non esiste quasi più. Degli oltre 20 siti ufficialmente attivati nel tempo ad oggi, a causa della forte instabilità, ne restano attivi una manciata. Dai 15mila rifugiati e richiedenti asilo di un paio di anni fa ora siamo passati a meno di mille. Sempre attivo quello di Trik al-Sikka dove restano però meno di 300 persone (al tempo ce n’erano circa 2mila), con annesso safe-shelter per i casi più vulnerabili, così come quello di Zawia che ospita oltre 450 persone. Il centro di al-Sabaa è stato chiuso di recente, liberando circa 200 migranti, mentre resta attivo anche uno degli ultimi centri, quello di abu-Salim.