In un documento di duecento pagine inviato alla procura di Reggio Calabria, gli investigatori della Direzione investigativa antimafia dettagliano la latitanza in Nord Italia dei boss di Brancaccio e i loro legami – sempre presunti – con Marcello Dell'Utri. E citano un vecchio documento investigativo del '97 definito di "portata eccezionale, alla luce delle nuove risultanze sulle mancate attenzioni istituzionali sulla figura di Baiardo e che, con il senno del dopo, conferisce alle dichiarazioni confidenziali di questi comprovata attendibilità e riscontro"
Nell’estate del 1993 i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano erano in vacanza in Sardegna “a un tiro di schioppo” dalla villa di Silvio Berlusconi. Un’informazione mai riscontrata che per la prima volta viene considerata attendibile in un documento di polizia giudiziaria. A raccontare i dettagli della latitanza dei boss di Brancaccio e i loro legami – sempre presunti – con Marcello Dell’Utri è un’informativa della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria. Duecento pagine inviate dal commissario Michelangelo Di Stefano, dal vice questore Beniamino Fazio e dal capo centro Teodosio Marmo al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, titolare della pubblica accusa al processo ‘Ndrangheta stragista.
La versione di Graviano – È il procedimento in cui l’imputato Graviano ha deciso per la prima volta di aprire bocca per mandare una serie di messaggi trasversali. Durante una serie di udienze nei mesi scorsi il boss di Brancaccio ha sostenuto di essere stato in affari con Silvio Berlusconi, grazie agli investimenti compiuti dal nonno a Milano negli anni ’70. Ha parlato di “imprenditori di Milano” che non volevano fermare le stragi. Ha invitato a indagare sul suo arresto, avvenuto al ristorante Gigi il cacciatore il 27 gennaio del 1994, per scoprire i veri mandanti delle stesse stragi. Poi, solo 24 ore fa, ha comunicato l’intenzione di non volere più rispondere alle domande. Il motivo? “La consapevolezza che le sue dichiarazioni resteranno prive di riscontro”, ha spiegato il suo avvocato Giuseppe Aloisio.
Tutti a Omegna – I fatti provano il contrario. Da alcuni mesi, infatti, il pm Lombardo ha chiesto alla Dia di tornare a indagare su uno dei momenti più misteriosi della recente storia d’Italia: il biennio compreso tra il 1992 e il 1994. Due anni di stragi, di sangue, di tentativi eversivi e nuovi patti di convivenza tra Stato e mefia. Due anni che i Graviano trascorrono da latitanti in Nord Italia, a Omegna, sul lago d’Orta, accompagnati dal fidato gelataio Salvatore Baiardo. Nello stesso periodo e nella stessa zona dimorano Balduccio Di Maggio, il boss arrestato da latitante a Borgomanero e poi fondamentale per arrivare all’arresto di Totò Riina, e il generale Francesco Delfino, proprio l’uomo che arresterà lo stesso Di Maggio. Non è l’unica coincidenza che segnalano gli investigatori. “Da vecchi fascicoli non indicizzati delle tante attività della Dia è stata rinvenuta un’informativa del Centro Operativo di Firenze, indirizzata al compianto dottor Chelazzi avente ad oggetto: Stragi di Firenze, Roma e Milano e riguardante l’analisi dei movimenti di Giuseppe e Filippo Graviano”, scrivono gli inquirenti. Che definiscono quel documento, risalente al 26 febbraio del 1997, “di portata eccezionale, alla luce delle nuove risultanze sulle mancate attenzioni istituzionali sulla figura di Baiardo e che, con il senno del dopo, conferisce alle dichiarazioni confidenziali di questi – che il dr. Messina, nella recente deposizione, ha ritenuto doveroso non cautelare ex art. 203 cpp – comprovata attendibilità e riscontro, atteso che dall’analisi dei metadati del telefono cellulare del Baiardo è stato possibile ricostruire i movimenti dei fratelli Graviano nell’anno 1993, così confermando entità e consistenza dei rapporti con il gelataio di Omegna”.
Baiardo, il Majestic e l’ex senatore che dice: “Berlusconi è fottuto” – Il dottor Messina è l’attuale capo della Direzione centrale anticrimine della polizia: il 4 novembre del 1996 è lui a firmare l’informativa sul colloquio avuto con lo stesso Baiardo, in cui per la prima volta si parla dei legami tra i Graviano e Dell’Utri. “C’era un rapporto tra il signor Marcello Dell’Utri e i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano che, tramite lui, erano interessati al finanziamento del nascente movimento politico Forza Italia perché erano convinti che questo li avrebbe garantiti e avrebbe garantito i loro interessi”, ha ripercorso lo stesso Messina, deponendo in aula pochi giorni fa a Reggio Calabria. E confermando che la fonte della sua informativa era proprio Baiardo, il cui nome non è mai stato indicato nel documento, ha raccontato come quelle informazioni esplosive “non furono sviluppate” dalla Procura che “diede atto del fatto che si trattava di un soggetto che non intendeva apparire”. Il capo dell’Anticrimine definisce “ondivago” l’atteggiamento del favoreggiatore dei Graviano, che per i magistrati non è mai stato affidabile. Adesso la Dia ripesca un documento vecchio di 23 anni che proverebbe i suoi spostamenti – e con i suoi anche quelli dei Graviano – nell’ultima estate di libertà dei boss delle stragi. Gli investigatori vanno oltre: e tornano a mettersi sulle tracce dei movimenti di Dell’Utri, che si trovava all’hotel Majestic di Roma proprio negli stessi giorni del gennaio 1994 in cui Graviano incontrava Gaspare Spatuzza al vicino Bar Doney per dirgli che grazie a “quello del Canale 5” si erano messi il Paese nelle mani”. Uno dei dipendenti dell’albergo, interrogato, oggi ricorda che Dell’Utri incontrava al Majestic alcuni soggetti di “chiara provenienza calabrese e siciliana, dal momento che parlavano con marcato accento dialettale da me conosciuto per le mie origini calabresi”. Chi erano quei siciliani e quei calabresi incontrati da Dell’Utri proprio nei giorni in cui veniva lanciato il partito azienda di Berlusconi? Hanno niente a che vedere con gli incontri del siciliano Graviano nel vicinissimo bar di via Veneto? Nell’informativa trova spazio anche un’intercettazione dell’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli: “Senti, sto leggendo questa storia che hanno riportato sul Fatto Quotidiano della trattativa stato Mafia”, dice l’ex parlamentare il 20 luglio del 2018. Il riferimento a un articolo che riportava le motivazioni del processo sul Patto tra pezzi delle Istituzioni e Cosa nostra. Quel procedimento individua il primo governo Berlusconi come parte lesa del ricatto allo Stato. Il commento di Pittelli, però, è di tenore diverso: “Berlusconi è fottuto…Berlusconi è fottuto“.