“Se non rispondete ai messaggi dovete essere minacciati togliendovi i soldi. Siete come i bambini”. E ancora: “Se non vi tocchiamo i soldi, le cose non le capite e fate quello che volete”. Sono i vocali che uno degli amministratori della Flash Road City mandava nelle chat interne dei ciclofattorini di Uber di Torino. La società milanese di logistica, che si occupava di reclutare lavoratori per le consegne, oggi è al centro dell’indagine della Guardia di Finanza, coordinata dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci e dal pm Paolo Storari, sulle condizioni di lavoro dei rider. Inchiesta che ha portato al commissariamento di Uber Eats Italy. Secondo gli inquirenti, Uber, proprio attraverso l’appalto a società terze come Flash Road City, ha sfruttato migranti e richiedenti asilo, che ricevevano paghe da fame e subivano minacce e metodi da caporalato. I due messaggi risalgono all’inverno del 2018 e sono stati inviati nel gruppo Whatsapp dei lavoratori di Torino. L’amministratore della FRC si lamenta perché i fattorini non danno le disponibilità per alcune fasce orarie. “Ve ne sbattete e allora vi togliamo i soldi, così forse capite”. Secondo quanto emerso dalle indagini, una delle “punizioni” messe in atto dalla società a chi consegnava meno del 95% degli ordini era una multa di 50 cent per ogni consegna successiva. La paga per tutti, indipendentemente dalla distanza percorsa e dagli orari, era pari a 3 euro o 3 euro e 50 a consegna.
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