Si fa presto a dire Clint Eastwood. L’icona del cinema che diventò una star con Sergio Leone. “Con cappello o senza cappello” si disse della sua espressione. Intanto quell’attore partito come divo dei western e modello estetico per un’America bianca e conservatrice costruì una bella fetta del cinema americano dello scorso secolo. E appena finito quello si è dedicato alacremente pure a questo millennio.
Ha all’attivo 57 film come attore, 8 partecipazioni a documentari, 36 accrediti nei comparti di produzione, la composizione di 9 colonne sonore, ben 41 regie. E per 32 volte è stato autore di brani o interprete di pezzi per il cinema, lasciando il suo segno sul grande schermo anche in ruoli dietro le quinte, dove in molti non si aspetterebbero mai. Il 31 maggio 2020 questo signore nato a San Francisco qualche decennio fa compie 90 anni. Potremmo serenamente affermare tutti di cinema. Ed è ancora non soltanto sulla cresta dell’onda con una filmografia monolitica e raffinata che ha finora esplorato l’animo umano in lungo e in largo, ma mantiene spesso anche la qualità di raccontare spicchi reali del mondo di oggi.
Lo dimostra con la recente sequela di 5 film concentrati su storie vere. A partire da American Sniper, fino ad arrivare al recente Richard Jewell, ma inanellando nel mezzo Sully, Ore 15:17 – Attacco al treno e Il corriere. Ognuno di essi ci parla del conflitto dell’eroe e più ampiamente dell’antieroismo scandagliando ogni volta con lucidità e precisione controversie e vari piani di lettura che i personaggi offrono con le loro azioni e reazioni intorno agli atti di ogni protagonista, origine primaria delle narrazioni. La verità, intesa come storia realmente accaduta, Eastwood l’ha battuta anche in passato, basterebbe citare Lettere da Iwo Jima e il gemello “occidentale” Flags of Our Fathers sulla Seconda Guerra Mondiale, Invictus, visione dell’incontro tra Nelson Mandela e il rugbista François Pienaar, o Bird, biopic crepuscolare e personalissimo su Charlie Parker. Quest’ultimo costituisce un omaggio al jazzista ma al tempo stesso è forse uno dei tasselli musicali più evidenti della sua carriera (l’altro potrebbe essere un altro recente ma totalmente finzionale Jersey Boys).
In realtà il regista dagli occhi di ghiaccio ha composto, scritto e cantato molto per il cinema. Ad esempio il musical western del 1969, La ballata della città senza nome lo vede protagonista con Lee Marvin. In giorni di festa come un compleanno tanto importante fa bene tirare fuori chicche dimenticate come I talk to the trees (Io parlo con gli alberi), interpretata dall’allora soltanto attore. Esordio dietro la macchina da presa nel ’71 battendo le vie del cinema di genere, western e poliziesco gli hanno dato la fama più ampia. Ma non soltanto Ispettore Callaghan e pistoleri immortalati da Leone.
Forse proprio dal cineasta italiano sgorga tanto della direzione Eastwood. La sua regia riprende da Leone una ritmica apparentemente flemmatica, ma secca, in realtà rigorosa e precisissima sulle inquadrature, la gestione degli attori e la drammatizzazione degli attimi. Eastwood sembra inoltre più interessato di Leone a una visione realista, cruda, sociale, e solo apparentemente intransigente e reazionaria. In verità il suo occhio tratta buoni e cattivi in maniere molto simili nella forma, e nella sostanza narrativa non fa sconti a nessuno perché ognuno di loro serba in sé riserve inaspettate di bene e di male. Democratico dagli anni ‘50, ha appoggiato anche Trump nel 2016, è stato accusato di razzismo per film come Gran Torino o The Mule. Ma qual è il confine tra essere razzisti e raccontare una storia che ha per protagonista un razzista? Spesso in questi spazi si giocano partite inutili.
Eastwood con il suo cinema parla di atti di coraggio, epopee morali, twist interiori e stravolgimenti che dall’intimismo si fanno totali grazie a sceneggiature sempre bilanciate su dei crescendo tensivi adattati al genere di turno. Dal romanticismo affrontato con Meryl Streep al guerresco reaganiano Gunny, fino al suo capolavoro western modernissimo Gli Spietati, ma passando anche per l’avventuroso thriller Assassinio sull’Eiger o il gigantesco dramma di Mystic River, il regista di San Francisco ha sempre emozionato il suo pubblico e raccolto i favori del box office.
Uguale e sempre diversa la sua espressione attoriale, 5 Oscar vinti ma non uno in quel ruolo, Eastwood riesce a dare i colori giusti ai suoi personaggi duri e ruvidi, e in una magia tutta sua che ogni volta ci apre un mondo da quelle fessure dei suoi occhi. Chissà, magari un giorno potrebbe raccontarci del recente omicidio George Floyd e delle rivolte partite da Minneapolis. Per ora auguriamo a questo Maestro di Cinema di continuare ancora a lungo a sfornare bellezza ed emozione dalla sua macchina da presa.