La Dda di Catanzaro ha notificato sette avvisi di conclusione indagine per corruzione e concorso esterno. Tra gli indagati anche il penalista Armando Veneto, 85 anni, originario di Palmi, ex deputato ed ex parlamentare europeo dell'Udeur, già sindaco di Palmi con il Partito popolare
Denaro in cambio della libertà, sentenze comprate e giudici pagati per far scarcerare boss e gregari della cosca Bellocco di Rosarno. L’ennesimo terremoto giudiziario è scritto nero su bianco nelle undici pagine dell’avviso di conclusione indagini notificato nei giorni scorsi dalla Dda di Catanzaro. Secondo gli inquirenti il giudice Giancarlo Giusti (oggi deceduto) ha accettato 120mila euro per far scarcerare tre esponenti della ‘ndrangheta che erano stati arrestati dalla Procura di Reggio Calabria.
Tra gli indagati c’è pure l’avvocato Armando Veneto, 85 anni, originario di Palmi, ex deputato ed ex parlamentare europeo dell’Udeur, già sindaco di Palmi con il Partito popolare. Il procuratore Nicola Gratteri, l’aggiunto Vincenzo Capomolla e il sostituto procuratore Elio Romano lo accusano di corruzione in atti giudiziari aggravata dall’agevolazione alla ‘ndrangheta. Lo stesso reato viene contestato ad altri sei indagati: Domenico Bellocco, alias “Micu u Longu”, Vincenzo Puntoriero, Gregorio Puntoriero, Vincenzo Albanese, Giuseppe Consiglio e Rosario Marcellino.
Per ogni scarcerazione il giudice avrebbe intascato 40mila euro. Complessivamente, quindi, per annullare tre ordinanze di arresto il magistrato Giusti sarebbe stato pagato 120 mila euro. I fatti risalgono all’agosto 2009 quando gli indagati avrebbero dato danaro o comunque avrebbero svolto il ruolo di intermediari nella dazione di soldi a Giusti. Il magistrato era giudice relatore ed estensore del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria e aveva annullato le ordinanze di misura cautelare emesse dal gip su richiesta della Dda reggina nei confronti di Rocco Bellocco, Rocco Gaetano Gallo e Domenico Bellocco.
Sono loro tre, quelli che i pm, definiscono i “corruttori” del giudice. Gli intermediari, invece, sarebbero stato i due Puntoriero e l’avvocato Armando Veneto. Il noto penalista, infatti, è accusato di essere stato il trait d’union tra i mafiosi e il magistrato poi morto suicida nel 2015 dopo essere stato coinvolto in due inchieste antimafia.
Secondo i pm di Catanzaro, competenti sulle indagini che riguardano i magistrati reggini, la corruzione sarebbe avvenuta “per avvantaggiare la cosca Bellocco – è scritto nel capo di imputazione – in un momento di particolare difficoltà generato dall’esecuzione di numerose ordinanze di custodia cautelare in carcere”.
L’avvocato Veneto e gli altri indagati, inoltre, sono accusati di concorso esterno con la ‘ndrangheta. Il penalista e Domenico Puntoriero, infatti, “in forza del rapporto di amicizia con Giancarlo Giusti, – è scritto nell’avviso di conclusione indagini – fornivano un concreto apporto al rafforzamento, alla conservazione e alla prosecuzione dell’attuazione del programma associativo criminoso della cosca Bellocco, nella sua articolazione territoriale operante a Rosarno, Emilia Romagna e Lombardia”.
Secondo gli inquirenti, quindi, pur non facendone parte Veneto e Puntoriero avrebbero favorito la cosca Bellocco che, grazie alla loro intermediazione, è riuscita a “riaffermare e rafforzare il potere della stessa attraverso la ripresa operativa sul territorio dei ruoli che ciascuno dei tre soggetti posti in libertà vi ricopriva”. Adesso gli indagati hanno 20 giorni di tempo per chiedere di essere interrogati o depositare memorie alla Dda di Catanzaro. Subito dopo, il procuratore Gratteri e i pm potranno decidere se chiedere il rinvio a giudizio o archiviare. Di solito la chiusura indagini è il prologo della prima opzione.