La notte peggiore è stata venerdì. La folla si ammassava fuori dai cancelli della Casa Bianca. Molti urlavano insulti al presidente. Lanciavano pietre e bottiglie. Gli agenti del Secret Service hanno preso in custodia Donald Trump e la moglie Melania e li hanno condotti nel bunker sotto la Casa Bianca. Non accadeva dall’11 settembre 2001, quando il vice presidente Dick Cheney fu scortato nel bunker perché si temeva un nuovo attacco aereo, dopo quello a Due Torri e Pentagono.
Slogan, lancio di oggetti, fuochi appiccati un po’ ovunque (anche alla Saint John’s Episcopal Church, la “chiesa dei presidenti) sono continuati ancora sabato e domenica. Ma in quell’immagine di Trump barricato in un bunker sta molto del senso di quanto sta accadendo – e di un’intera presidenza. L’amministrazione fatica a gestire la nuova crisi. Confusione, disorientamento, rabbia si allargano dalle strade d’America alla Casa Bianca, e precipitano ulteriormente la crisi.
Dopo l’uccisione di George Floyd, Trump ha reagito ai disordini com’è sua abitudine. Attaccando. Del resto il presidente non è un pacificatore. Nei momenti di difficoltà attacca, e così ha fatto anche questa volta. Prima ha definito i manifestanti dei “thugs”, dei teppisti. Poi ha ripescato la frase di un vecchio capo della polizia di Miami, che nel 1967 invocò “il fuoco delle armi” contro gli afro-americani in rivolta. Infine ha tirato fuori “cani aggressivi e fucili” per bloccare chi assalta la Casa Bianca. Nelle ultime ore se l’è presa con “Biden l’addormentato” e con sindaci e governatori democratici, incapaci di bloccare le proteste. E ha twittato, tutto in maiuscolo: LAW AND ORDER.
“Non c’è alcun dubbio. Non sono tweet costruttivi”, ha commentato Tim Scott, l’unico senatore nero repubblicano. “La sua forza è incitare la base, non calmare le acque”, spiega Dan Eberhart, finanziatore e fedelissimo sostenitore di Trump. L’idea che l’aggressività della risposta del presidente finisca per eccitare gli animi, più che placare le proteste, si sta facendo del resto strada in alcuni dei suoi collaboratori. C’è chi pensa che Trump debba parlare alla Nazione. Riconoscere la realtà del razzismo americano e chiedere la fine dei disordini. La cosa non convince tutti. Le apparizioni televisive di Trump, durante l’emergenza del Covid-19, hanno provocato più polemiche che altro. Perché rischiare di nuovo?
Un elemento appare comunque chiaro. Come dice Eberhart, che lo conosce bene, Trump in questo momento parla ai suoi. Con le presidenziali in vista, il calcolo può essere simile a quello che fece Richard Nixon nel 1968: fare campagna in nome del ritorno a “legge e ordine”, promettendo di ristabilire la legalità e la proprietà minacciate dall’esplodere dei conflitti. Del resto, al momento di accettare la candidatura a presidente, alla Convention repubblicana del 2016, Trump disse: “Vediamo le nostre città avvolte da fumo e fiamme – con il presentimento che la Storia possa prendere una strada brutta e pericolosa”. Perché quindi non insistere ancora su quel messaggio, chiamando a raccolta l’elettorato più moderato, i bianchi spaventati dalla furia delle proteste afroamericane, magari gli anziani duramente segnati dall’epidemia di questi mesi?
Il ragionamento, che alcuni tra i repubblicani stanno elaborando, porta con sé un rischio. Nixon, nel 1968 era lo sfidante, chi cercava di conquistare la Casa Bianca. Così pure Trump nel 2016. Oggi Trump è il presidente, un presidente in carica da quattro anni. Come giustificare la richiesta di restaurare l’ordine perduto, quando quell’ordine avrebbe dovuto garantirlo proprio lui? Se questa opzione appare pericolosa, perché rischia di alienare l’elettorato che si cerca di conquistare, anche quella opposta sembra poco praticabile. Difficile infatti che Trump possa andare in TV e chiedere ai neri di fermarsi. Gli manca un requisito fondamentale. La credibilità. Questo è un presidente che sin dalla campagna elettorale del 2016 ha giocato con il sostegno della destra radicale. L’appoggio che gli diede Rocky Suhayda, chairman dell’American Nazi Party, quando disse che questo presidente “è per noi un’opportunità reale”, è lì a testimoniarlo. Ci furono poi i disordini di Charlottsville, che spinsero Trump a dire che anche tra i suprematisti bianchi “ci sono delle brave persone”. Sono episodi che le comunità nere d’America non hanno mai dimenticato. E tuttora il presidente ribadisce che le proteste che stanno incendiando gli Usa non sono provocate dalle infiltrazioni dei gruppi dei suprematisti bianchi, ma dell’organizzazione della sinistra radicale Antifa, già protagonista degli scontri a Seattle per il G7 del 1999 e del movimento ‘Occupy Wall Street’.
“Perché dobbiamo continuamente ripeterti che le vite dei neri contano?”, è la scritta comparsa sul Decatur Building, un edificio storico a un isolato dalla Casa Bianca. Possibile dunque che la protesta si spenga per la repressione della polizia. Probabile che all’interno dello stesso movimento che guida la contestazione si creino divisioni profonde, tra chi è pronto al confronto armato e chi invece rifiuta la violenza. Quasi impossibile che gli incidenti si plachino per un intervento del presidente. Del resto, quello che esplode ora è frutto di un movimento più lungo e complesso, che parte anni fa, con l’ascesa di una nuova coscienza politica tra i più giovani afro-americani, con “Black Lives Matter”, e che si è poi mano a mano nutrito di molte altre cose: le continue violenze da parte della polizia ai danni degli afroamericani per le strade d’America; la parzialità del sistema della giustizia (solo un paio di mesi fa i due assassini di un nero di 19 anni, Ahmaud Arbery, sono stati scagionati dai giudici); il persistente divario economico e sociale ai danni dei neri americani, che sono il gruppo più colpito dal coronavirus. Proprio a Minneapolis, la città dove è stato ucciso George Floyd, i neri sono stati il 34 per cento dei contagiati, ma rappresentano solo il 18 per cento della popolazione.
È tutto questo che esplode negli scontri che infiammano oggi le città d’America. Per un caso curioso della storia, questi mesi sono anche un gigantesco riepilogo del Novecento americano. Disordini razziali come nel 1968, dopo l’assassinio di Martin Luther King. La pandemia devastante, che ha ucciso oltre 100mila persone e che ricorda quella del 1918. Un crollo economico che riporta la memoria alla Grande Depressione degli anni Trenta e alla Recessione del 2008. Tutto confluisce, nel giro di poche settimane, nella fase finale del mandato di Donald Trump: il più divisivo, contestato, esplosivo, oggi isolato e disorientato, presidente della storia degli Stati Uniti.
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Floyd, Trump isolato nel bunker insulta i manifestanti e twitta “law and order”. Ma non può chiedere ai neri di fermarsi
Non succedeva dal 2001 che un presidente finisse nel bunker della Casa Bianca per proteggersi da un eventuale attacco. Trump, incapace di gestire questa crisi sociale, reagisce attaccando. Ma all'uomo più potente d'America che difende i suprematisti bianchi e che è stato elogiato anche dai nazi Usa manca una cosa: la credibilità
La notte peggiore è stata venerdì. La folla si ammassava fuori dai cancelli della Casa Bianca. Molti urlavano insulti al presidente. Lanciavano pietre e bottiglie. Gli agenti del Secret Service hanno preso in custodia Donald Trump e la moglie Melania e li hanno condotti nel bunker sotto la Casa Bianca. Non accadeva dall’11 settembre 2001, quando il vice presidente Dick Cheney fu scortato nel bunker perché si temeva un nuovo attacco aereo, dopo quello a Due Torri e Pentagono.
Slogan, lancio di oggetti, fuochi appiccati un po’ ovunque (anche alla Saint John’s Episcopal Church, la “chiesa dei presidenti) sono continuati ancora sabato e domenica. Ma in quell’immagine di Trump barricato in un bunker sta molto del senso di quanto sta accadendo – e di un’intera presidenza. L’amministrazione fatica a gestire la nuova crisi. Confusione, disorientamento, rabbia si allargano dalle strade d’America alla Casa Bianca, e precipitano ulteriormente la crisi.
Dopo l’uccisione di George Floyd, Trump ha reagito ai disordini com’è sua abitudine. Attaccando. Del resto il presidente non è un pacificatore. Nei momenti di difficoltà attacca, e così ha fatto anche questa volta. Prima ha definito i manifestanti dei “thugs”, dei teppisti. Poi ha ripescato la frase di un vecchio capo della polizia di Miami, che nel 1967 invocò “il fuoco delle armi” contro gli afro-americani in rivolta. Infine ha tirato fuori “cani aggressivi e fucili” per bloccare chi assalta la Casa Bianca. Nelle ultime ore se l’è presa con “Biden l’addormentato” e con sindaci e governatori democratici, incapaci di bloccare le proteste. E ha twittato, tutto in maiuscolo: LAW AND ORDER.
“Non c’è alcun dubbio. Non sono tweet costruttivi”, ha commentato Tim Scott, l’unico senatore nero repubblicano. “La sua forza è incitare la base, non calmare le acque”, spiega Dan Eberhart, finanziatore e fedelissimo sostenitore di Trump. L’idea che l’aggressività della risposta del presidente finisca per eccitare gli animi, più che placare le proteste, si sta facendo del resto strada in alcuni dei suoi collaboratori. C’è chi pensa che Trump debba parlare alla Nazione. Riconoscere la realtà del razzismo americano e chiedere la fine dei disordini. La cosa non convince tutti. Le apparizioni televisive di Trump, durante l’emergenza del Covid-19, hanno provocato più polemiche che altro. Perché rischiare di nuovo?
Un elemento appare comunque chiaro. Come dice Eberhart, che lo conosce bene, Trump in questo momento parla ai suoi. Con le presidenziali in vista, il calcolo può essere simile a quello che fece Richard Nixon nel 1968: fare campagna in nome del ritorno a “legge e ordine”, promettendo di ristabilire la legalità e la proprietà minacciate dall’esplodere dei conflitti. Del resto, al momento di accettare la candidatura a presidente, alla Convention repubblicana del 2016, Trump disse: “Vediamo le nostre città avvolte da fumo e fiamme – con il presentimento che la Storia possa prendere una strada brutta e pericolosa”. Perché quindi non insistere ancora su quel messaggio, chiamando a raccolta l’elettorato più moderato, i bianchi spaventati dalla furia delle proteste afroamericane, magari gli anziani duramente segnati dall’epidemia di questi mesi?
Il ragionamento, che alcuni tra i repubblicani stanno elaborando, porta con sé un rischio. Nixon, nel 1968 era lo sfidante, chi cercava di conquistare la Casa Bianca. Così pure Trump nel 2016. Oggi Trump è il presidente, un presidente in carica da quattro anni. Come giustificare la richiesta di restaurare l’ordine perduto, quando quell’ordine avrebbe dovuto garantirlo proprio lui? Se questa opzione appare pericolosa, perché rischia di alienare l’elettorato che si cerca di conquistare, anche quella opposta sembra poco praticabile. Difficile infatti che Trump possa andare in TV e chiedere ai neri di fermarsi. Gli manca un requisito fondamentale. La credibilità. Questo è un presidente che sin dalla campagna elettorale del 2016 ha giocato con il sostegno della destra radicale. L’appoggio che gli diede Rocky Suhayda, chairman dell’American Nazi Party, quando disse che questo presidente “è per noi un’opportunità reale”, è lì a testimoniarlo. Ci furono poi i disordini di Charlottsville, che spinsero Trump a dire che anche tra i suprematisti bianchi “ci sono delle brave persone”. Sono episodi che le comunità nere d’America non hanno mai dimenticato. E tuttora il presidente ribadisce che le proteste che stanno incendiando gli Usa non sono provocate dalle infiltrazioni dei gruppi dei suprematisti bianchi, ma dell’organizzazione della sinistra radicale Antifa, già protagonista degli scontri a Seattle per il G7 del 1999 e del movimento ‘Occupy Wall Street’.
“Perché dobbiamo continuamente ripeterti che le vite dei neri contano?”, è la scritta comparsa sul Decatur Building, un edificio storico a un isolato dalla Casa Bianca. Possibile dunque che la protesta si spenga per la repressione della polizia. Probabile che all’interno dello stesso movimento che guida la contestazione si creino divisioni profonde, tra chi è pronto al confronto armato e chi invece rifiuta la violenza. Quasi impossibile che gli incidenti si plachino per un intervento del presidente. Del resto, quello che esplode ora è frutto di un movimento più lungo e complesso, che parte anni fa, con l’ascesa di una nuova coscienza politica tra i più giovani afro-americani, con “Black Lives Matter”, e che si è poi mano a mano nutrito di molte altre cose: le continue violenze da parte della polizia ai danni degli afroamericani per le strade d’America; la parzialità del sistema della giustizia (solo un paio di mesi fa i due assassini di un nero di 19 anni, Ahmaud Arbery, sono stati scagionati dai giudici); il persistente divario economico e sociale ai danni dei neri americani, che sono il gruppo più colpito dal coronavirus. Proprio a Minneapolis, la città dove è stato ucciso George Floyd, i neri sono stati il 34 per cento dei contagiati, ma rappresentano solo il 18 per cento della popolazione.
È tutto questo che esplode negli scontri che infiammano oggi le città d’America. Per un caso curioso della storia, questi mesi sono anche un gigantesco riepilogo del Novecento americano. Disordini razziali come nel 1968, dopo l’assassinio di Martin Luther King. La pandemia devastante, che ha ucciso oltre 100mila persone e che ricorda quella del 1918. Un crollo economico che riporta la memoria alla Grande Depressione degli anni Trenta e alla Recessione del 2008. Tutto confluisce, nel giro di poche settimane, nella fase finale del mandato di Donald Trump: il più divisivo, contestato, esplosivo, oggi isolato e disorientato, presidente della storia degli Stati Uniti.
TRUMP POWER
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George Floyd, Trump attacca i governatori: “Se non fate arresti siete degli idioti”. Obama: “Manifestanti meritano rispetto”. Tre morti e 4mila in manette. Coprifuoco in 40 città e Guardia Nazionale in 26 Stati
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George Floyd, sceriffo in Michigan si unisce alla protesta e va in corteo con i manifestanti: “Qui per aiutare le persone”
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Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Il ministero della Salute libanese ha dichiarato che almeno sette persone sono state uccise e 52 ferite negli scontri scoppiati la scorsa notte al confine con la Siria. "Gli sviluppi degli ultimi due giorni al confine tra Libano e Siria hanno portato alla morte di sette cittadini e al ferimento di altri 52", ha affermato l'unità di emergenza del ministero della Salute.
Beirut, 17 mar. (Adnkronos/Afp) - Hamas si starebbe preparando per un nuovo raid, come quello del 7 ottobre 2023, penetrando ancora una volta in Israele. Lo sostiene l'israeliano Channel 12, in un rapporto senza fonti che sarebbe stato approvato per la pubblicazione dalla censura militare. Il rapporto afferma inoltre che Israele ha riscontrato un “forte aumento” negli sforzi di Hamas per portare a termine attacchi contro i kibbutz e le comunità al confine con Gaza e contro le truppe dell’Idf di stanza all’interno di Gaza.
Cita inoltre il ministro della Difesa Israel Katz, che ha detto di recente ai residenti delle comunità vicine a Gaza: "Hamas ha subito un duro colpo, ma non è stato sconfitto. Ci sono sforzi in corso per la sua ripresa. Hamas si sta costantemente preparando a effettuare un nuovo raid in Israele, simile al 7 ottobre". Il servizio televisivo arriva un giorno dopo che il parlamentare dell'opposizione Gadi Eisenkot, ex capo delle Idf, e altri legislatori dell'opposizione avevano lanciato l'allarme su una preoccupante recrudescenza dei gruppi terroristici di Gaza.
"Negli ultimi giorni, siamo stati informati che il potere militare di Hamas e della Jihad islamica palestinese è stato ripristinato, al punto che Hamas ha oltre 25.000 terroristi armati, mentre la Jihad ne ha oltre 5.000", hanno scritto i parlamentari, tutti membri del Comitato per gli affari esteri e la difesa.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos/Afp) - L'attacco israeliano nei pressi della città di Daraa, nel sud della Siria, ha ucciso due persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale siriana Sana.
"Due civili sono morti e altri 19 sono rimasti feriti in attacchi aerei israeliani alla periferia della città di Daraa", ha affermato l'agenzia di stampa, mentre l'esercito israeliano ha affermato di aver preso di mira "centri di comando e siti militari appartenenti al vecchio regime siriano".