L'agenzia di stampa ha ricostruito i primi mesi della diffusione del virus attraverso le mail e le conversazioni dei dirigenti dell'Organizzazione mondiale della Sanità. I funzionari avrebbero lamentato il ritardo con cui la Repubblica popolare stava concedendo i dati. Mentre, al contrario, i pubblici elogi servivano come mezzo di scambio per ottenere più informazioni
I dubbi e le domande sul comportamento della Cina di fronte all’epidemia del coronavirus Sars Cov 2 circolavano da mesi. Il sospetto che Pechino potesse aver ritardato la comunicazione di quanto stava accadendo a Wuhan, la città da 11 milioni di abitanti focolaio dell’infezione, è stato confermato dagli studi che hanno dimostrato come il virus circolasse in Europa già da novembre, mentre la comunicazione delle autorità sanitarie cinesi all’Organizzazione mondiale della sanità porta la data del 31 dicembre con la segnalazione del primo caso di polmonite l’8 dicembre. Ora una inchiesta dell’Associated press ha scoperto che non solo Pechino ritardò le informazioni, ma che gli elogi pubblici fatti a gennaio dall’Oms alla Repubblica Popolare per la sua trasparenza sarebbero stati in realtà un’operazione diplomatica per assicurarsi più informazioni sull’epidemia, per spronarla a una maggiore collaborazione.
Sebbene l’Oms abbia continuato a elogiare pubblicamente la Cina, registrazioni delle riunioni interne per tutto il mese di gennaio, email e interviste ottenute dall’Associated Press mostrano che i funzionari erano in realtà preoccupati che il paese asiatico non condividesse abbastanza informazioni per valutare il rischio rappresentato dal nuovo virus, il che è costato tempo prezioso al mondo e chissà quanti morti. Senza contare i danni economici provocati dai lockdown. Le informazioni quindi secondo i giornalisti non supportano la narrativa sull’Oms né degli Stati Uniti, con il presidente Donald Trump che ha accusato l’organizzazione di essere filocinese e ha sospeso i finanziamenti, né della Cina, con il presidente Xi Jinping che ha sempre sostenuto comunicazioni “tempestive” e “trasparenti”. L’agenzia AP ha scoperto che, piuttosto che colludere con la Cina, l’Organizzazione mondiale della sanità è stata in gran parte tenuta al buio, poiché la Repubblica Popolare ha fornito solo le informazioni minime richieste.
A maggio oltre 100 paesi, la Russia di Putin, la Francia di Macron e il Regno Unito di Johnson, appoggiando la bozza di risoluzione proposta dall’Unione europea, hanno invocato un’inchiesta indipendente sulle origini del coronavirus. A frenare però è stata proprio la Cina – paese dove ha avuto origine la pandemia – che si è detta disponibile solo ad un’inchiesta dell’Oms e a tempo debito, ovvero superata l’emergenza. Pechino aveva fatto sapere di ritenere “prematuro” l’avvio di un’indagine su origini e diffusione di Covid 19 che finora ha colpito più di 6 milioni di persone nel mondo, uccidendone oltre 370mila, secondi i dati ufficiali. Tra i favorevoli alla linea attendista cinese c’era proprio il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, che non aveva insistito sull’urgenza dell’avvio di un’inchiesta che, aveva spiegato, “sarà fatta al primo momento opportuno per valutare l’esperienza e le lezioni imparate e per fare alcune raccomandazioni su come migliorare la preparazione nazionale e globale alla pandemia“.
Da tempo, si scopre ora, l’Oms sarebbe stata irritata con Pechino per aver aspettato nel condividere i dati sul genoma, di fatto tenuti segreti per oltre una settimana, e sulla capacità di diffusione del virus. Informazioni necessarie per sviluppare farmaci e vaccini che saranno diffuse pubblicamente solo l’11 gennaio 2020, quando Zhang Yongzhen, scienziato di Shanghai, decide di pubblicarle sul sito virological.org. Solo a quel punto anche gli altri laboratori furono costretti a pubblicare le sequenze in loro possesso. Era il 12 gennaio e il primo caso di infezione non risaliva all’8 dicembre come dichiarato dalle autorità cinesi, ma almeno al 17 novembre.
L’atteggiamento cinese, scrive l’agenzia di stampa statunitense, sarebbe stato motivato da “un ferreo controllo sull’informazione e dalla competizione interna al sistema sanitario cinese” che avrebbe ostacolato il lavoro dei funzionari dell’Oms nella prima fase dell’epidemia, dopo la scoperta di casi di polmoniti anomale a Wuhan. Tanto che ancora il 21 gennaio si parlava di un virus misterioso che provocava febbre, tosse e polmonite in maniera piuttosto generica. E dalla Cina arrivavano dati sui contagi di poche centinaia di persone. Dal momento in cui il virus venne decodificato per la prima volta, il 2 gennaio, al momento in cui l’Oms dichiarò quella del coronavirus una emergenza mondiale, il 30 gennaio, l’epidemia era già cresciuta di 100-200 volte, come dimostrano i dati del Chinese center for Disease control. Intanto il virus era arrivato in Europa e aveva cominciato già a colpire. Già un mese fa il Wall Street Journal aveva riportato la notizia che gli esperti, inviati nell’ambito della missione dell’Organizzazione per la Sanità (Oms) per cercare l’origine del virus, avevano denunciato il blocco da parte delle autorità cinesi sui tentativi di studiare l’origine della pandemia di coronavirus. Senza dimenticare che alcuni dati, secondo gli esperti, sono stati tenuti segreti. Tra questi si fa particolare riferimento ad una mappa che dettagliava la possibile diffusione del virus nel mercato del pesce di Huanan, a Wuhan.
Intanto proprio oggi è morto per le conseguenze dell’infezione Hu Weifeng, uno dei medici in prima linea dall’inizio a Wuhan e collaboratore dell’oculista eroe Li Wenliang, che cercò di mettere sull’avviso su quella strana malattia che gli ricordava la Sars del 2003. Hu, urologo, era diventato noto anche il caso del cambio di colore della pelle, diventata nera a causa di farmaci e fegato danneggiato. Il decesso, secondo i media cinesi, è avvenuto questa mattina: Hu è il sesto medico del Wuhan Central Hospital a morire a causa degli effetti del virus.