Thierry Fremaux, il delegato generale della rassegna, una sorta di invasato papa d’Avignone del cinema d’autore, non mollerà mai l’osso. Cannes si deve fare anche con la palla di Melancholia che sta per distruggere il dipartimento delle Alpi Marittime. Anche con l’asteroide di Armageddon che sta per impattare sulla montée des marches
Diciamolo subito, senza attendere la decima riga. Il bollino sui film del Concorso del Festival di Cannes (festival che non si farà e non si terrà per il 2020) è una “cagata pazzesca”. L’abbiamo detto fin da metà marzo, quando salivano i contagiati negli ospedali di tutto il mondo e si annullava ogni evento legato al mondo dell’arte e della cultura almeno fino all’estate: Thierry Fremaux, il delegato generale del Festival di Cannes, una sorta di invasato papa d’Avignone del cinema d’autore, non mollerà mai l’osso del suo festival. Cannes si deve fare anche con la palla di Melancholia che sta per distruggere il dipartimento delle Alpi Marittime. Anche con l’asteroide di Armageddon che sta per impattare sulla montée des marches. Le ha provate tutte. Deve avere recapitato anche una testa di cavallo sul letto di Brigitte ed Emmanuel, ma alla fine l’edizione che si sarebbe dovuta tenere dal 13 al 23 maggio 2020 è stata cancellata. Senza possibilità di recupero entro luglio. Una dolorosa eventualità occorsa all’incirca a 5000mila eventi culturali di mezzo pianeta, ma per Fremaux “io so io e voi non siete un c****”.
Cannes non si ferma davanti a nulla. Figuriamoci poi se gli eventi concorrenti come i festival di Locarno, Venezia, Toronto e Telluride magari essendo tra agosto e settembre la scampano e si svolgono (parentesi: non esiste bon ton tra manifestazioni del genere, ma solo totale e disperata concorrenza). Ecco allora che Fremaux, uno storico del cinema con i controfiocchi, un intellettuale modello bobo parigino anche se cresciuto nella succursale meno chic di Lione, di fronte alla peste del secolo non abdica nemmeno per un secondo magari lasciando un biglietto sulla porta: ci vediamo l’anno prossimo. All’improvviso la lampadina che si è accesa è di quelle a led con la scritta filamentosa: Cannes! Cannes! Perché non apporre una bella etichetta sui film che dovevano essere a Cannes ma che non ci saranno? Idea davvero elegante ed educata tra l’arrogante sciovinismo da segno del comando, al pallone è mio e me lo porto via io. E se vogliamo spingerci oltre con la farsa, teatralmente parlando, basta leggere Fremaux stesso che gigioneggia nell’intervista a ScreenDaily dicendo che sarebbe stato l’anno in cui tornava Netflix sulla Croisette (non abbiamo parole, davvero) e che i film bollati Cannes faranno il giro del mondo dei festival ma solo per quelli che si terranno da Venezia in avanti. Insomma, caro Alberto (Barbera), potevi avere The French Dispatch di Wes Anderson con il bollino di Cannes ma a questo punto non lo avrai. Arrivati verso le ultime scene della farsa, il canovaccio prevederebbe un tizio tra la folla che dice: “State uniti in nome dell’Europa”.
Macché. Siamo in guerra anche per i film, anche tra festival. Perché la guerra tra stati europei anche per questioni artistico/culturali c’è sempre stata. Recovery Fund? Mes? Poco ci manca. Fossimo in Alberto Barbera ci inventeremmo dei bollini con la bandierina italiana e il leoncino veneziano da apporre ai film in Concorso della prossima Venezia. Ma soprattutto faremmo di tutto per togliere a Fremaux il gioiellino che vuole mettere sulla sua scrivania: Tre Piani di Nanni Moretti. E anche Moretti, per una volta, dica qualcosa di sovranista: scelga Venezia e lasci che coi bollini Fremaux ci incarti le baguette.