L’Alto Commissario Onu per i diritti umani sostiene che la pandemia di coronavirus abbia di nuovo sollevato un problema che negli Stati uniti è presente in maniera diffusa, mentre mister Pesc invita tutti i Paesi a "rimanere vigili contro l’eccessivo uso della forza e rispettare i diritti umani"
L’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, interviene sulle proteste negli Stati Uniti per la morte di George Floyd, il 46enne afroamericano morto soffocato dopo essere stato immobilizzato dalla polizia, a Minneapolis, parlando di questo come di un episodio che ha messo in luce le “discriminazioni razziali endemiche” nel Paese. Un intervento duro, quello dell’ex presidentessa cilena, che segue quello dell’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Ue (Pesc), Josep Borrell, che martedì mattina ha dichiarato: “In Europa come negli Usa siamo inorriditi e scioccati dall’omicidio di George Floyd, un abuso di potere che deve essere combattuto negli Usa come altrove”.
Le parole dei due rappresentanti di Nazioni Unite e Unione europea sottolineano un problema che, invece, era stato minimizzato nei giorni scorsi dal consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa, Robert O’Brien, che in un’intervista alla Cnn ha negato l’ipotesi di “un razzismo sistemico”: “Non c’è dubbio che ci siano alcuni poliziotti razzisti”, ma “penso che siano la minoranza, poche mele marce che dobbiamo sradicare. Il 99,9% dei nostri agenti sono grandi americani. Molti di loro sono afroamericani, ispanici, asiatici, lavorano nei quartieri più difficili e hanno il più difficile dei lavori da svolgere in questo Paese. Penso che siano fantastici, grandi americani”.
Bachelet sostiene invece che la pandemia di coronavirus abbia di nuovo sollevato un problema che negli Stati uniti è presente in maniera diffusa: “Il virus ha rivelato disuguaglianze troppo a lungo ignorate”, le proteste hanno mostrato “non solo le violenze della polizia contro le persone di colore, ma anche le disuguaglianze nella sanità, l’istruzione e il lavoro, e la discriminazione razziale endemica”.
Un ritratto crudo della realtà americana sul quale anche Borrell ha messo l’accento, pur parlando in generale: “Tutte le società devono rimanere vigili contro l’eccessivo uso della forza e rispettare i diritti umani. Ovunque e nelle società che si basano sullo stato di diritto e il rispetto delle libertà, chi è incaricato di proteggere l’ordine pubblico non usi le sue capacità nello stesso modo in cui si è fatto” negli Usa, “arrivando a questa infelice morte”.
Mister Pesc ha poi lanciato il proprio appello affinché “gli americani possano riappacificarsi reciprocamente e ripeto che tutte le vite sono importanti, dunque anche la vita della popolazione nera. Siamo d’accordo con il diritto alle manifestazioni pacifiche, condanniamo la violenza ed il razzismo e chiediamo che si eviti un’escalation”.
Messaggi che seguono quelli di numerosi esponenti dello sport, della cultura e dello spettacolo, non solo appartenenti alla comunità afroamericana, che nei giorni scorsi hanno manifestato il loro sdegno per la morte di Floyd. Ad alzare la voce, nonostante le scarse dichiarazioni pubbliche alle quali ci ha abituato, è stato anche Michael Jordan: “Mi sento molto rattristato, ma anche decisamente arrabbiato – ha scritto sui social MJ, rompendo il silenzio – Vedo e provo il dolore, l’indignazione e la frustrazione di tutti. Sono dalla parte di coloro che stanno protestando contro il razzismo insensato che c’è nel nostro Paese nei confronti della gente di colore. Ma ora ne abbiamo abbastanza. Io non ho le risposte, ma le nostre voci unite hanno una forza che nessuno può dividere”.
Alla stella Nba si è affiancato anche il reverendo Jesse Jackson, icona dei diritti civili che fu compagno di lotta di Martin Luther King, che intervistato dal Corriere della Sera ha incoraggiato le proteste “ma con disciplina. Stiamo combattendo due guerre allo stesso tempo. Una contro il ‘codice del silenzio’ che garantisce l’impunità alla polizia, l’altra contro il Covid-19. Molti nella comunità sono furiosi per questo omicidio, che è una cosa tangibile. Siamo arrabbiati anche perché la pandemia ha colpito in modo esorbitante gli afroamericani ma non possiamo processare il virus”. E ricorda che “anche quando Martin Luther King era vivo ci sono state rivolte e saccheggi. E lui disse a un certo punto che la gente non capisce la non violenza. Perché? È semplice. La violenza è lo stile di vita degli Stati Uniti, dal genocidio dei nativi alla schiavitù degli afroamericani”.